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lunedì 12 agosto 2024

Piero Lotito - Di freccia e di gelo

Piero Lotito, Di freccia e di gelo, Mondadori, 2024

Di freccia e di gelo, l’ultimo romanzo di Piero Lotito, narra la storia di Ötzi, risalente a cinque millenni fa. L’idea, assai originale, è quella di far parlare un passato lontanissimo: che cosa ci può comunicare oggi l’esistenza di un uomo vissuto in un mondo così distante e diverso dal nostro? 

La narrazione, in prima persona, prende lo spunto da un fatto storico ben preciso: il ritrovamento, nel 1991, tra i ghiacciai delle Alpi altoatesine, dell’uomo del Similaun, comunemente conosciuto come Ötzi. Lotito non solo gli dà la parola, ma anche e soprattutto l’anima. Perché ciò che emerge e coinvolge il lettore in modo davvero sorprendente in questo romanzo sono gli eventi della vicenda narrata uniti ai pensieri e ai sentimenti del protagonista: la sua storia non ci risulta estranea, perché parla del nostro destino, di vita, di amore, di morte. Come si afferma nel risvolto di copertina, «un essere umano non è soltanto usi e abitudini. Gli è propria una sostanza immateriale più profonda», che è alla base di ogni azione. 

Così il racconto di Ötzi è un po’ quello di ciascuno di noi, e ciò che gli accade non è in fondo così diverso da quanto ci appartiene. La sua figura non si dimentica facilmente, perché conserva i tratti originari del nostro essere e sta a fondamento della nostra natura umana.  E bisogna subito dire che in questa impresa letteraria assai rischiosa, Piero Lotito è riuscito a sventare abilmente il pericolo di costruire una storia artificiosa o poco credibile, anzi, il romanzo conquista la nostra attenzione e si fa apprezzare proprio per l’impianto narrativo e per la nitidezza e l’efficacia della scrittura. Ne sono prova le descrizioni vivide e dettagliate, che rendono la pagina estremamente ricca, realistica, priva di enfasi, con una mirabile coerenza stilistica. La vita di Ötzi, dalla sua giovinezza con i genitori alla sua formazione da cacciatore, si snoda attraverso episodi decisivi che seguiamo con curiosità e partecipazione: gli imprevisti, i pericoli, le relazioni con gli altri esseri umani, i desideri e i sogni  s’intrecciano in modo indissolubile con il procedere della storia e si configurano come sfide continue a cui egli è chiamato a rispondere. 

C’è, in definitiva, qualcosa di epico e insieme di quotidiano in questa narrazione. C’è l’eroismo di Ötzi nell’affrontare le paure e i pericoli di ogni giorno, ma ci sono anche i dubbi, le perplessità, i dolori (la morte del padre e poi quella della madre), la solitudine, l’amore lacerante per Alesh, il senso di appartenenza alla propria famiglia (gli insegnamenti del padre cacciatore, uomo taciturno e violento, ma con un proprio codice “morale”, a cui si contrappone la dolcezza della madre, con la sua umiltà e le sue premure), infine le leggi della comunità del villaggio.Come non partecipare anche noi al destino del protagonista, alla sua tenacia, ai suoi affetti, alle scelte talvolta dolorose che è costretto a compiere? Come non vedere nel suo volto, nei suoi gesti, nella sua lotta per la sopravvivenza l’ombra stessa di noi, ciò che fa parte del nostro essere? 

L’epica quotidiana di Ötzi, qui narrata senza alcuna retorica e senza stereotipi, ci colpisce allora come una parabola esistenziale: è il cerchio misterioso del destino che ci attende, il segreto che  siamo e che portiamo dentro di noi. Così la bellissima conclusione della storia rimanda al passato del protagonista, al suo legame con il padre, alla sua stessa origine, come un ritorno imperscrutabile a ciò che Ötzi stesso ha vissuto da ragazzo, in mezzo al gelo e alla neve, nella quale affonda per l’ultima volta il viso. In modo discreto e sobrio, ma quanto mai incisivo, Piero Lotito chiude il cerchio dell’esistenza del protagonista con un’immagine realistica e misteriosa insieme: proprio quando la salvezza pare raggiunta, la freccia del destino arriva a trafiggere nel nulla, dove c’è solo vento e gelo. E tanta neve, che però per Ötzi è buona.

Mauro Germani

lunedì 23 gennaio 2023

Luigi Santucci - Orfeo in Paradiso


 Luigi Santucci, Orfeo in Paradiso, Mondadori 1967

Con Orfeo in Paradiso Luigi Santucci (1918-1999) si aggiudicò nel 1967 il Premio Campiello. Si tratta di un’opera assai originale, in cui la vicenda narrata si sviluppa mirabilmente in una doppia dimensione, metafisica e storica insieme, ambientata nella Milano tra Ottocento e Novecento. Orfeo, il protagonista,  disperato per la morte della madre vorrebbe gettarsi dal duomo di Milano, ma viene fermato dal misterioso Monsieur des Oiseaux, che – con una sorta di patto faustiano – gli concede di tornare indietro nel tempo per riavere accanto a sé la madre e accompagnarla negli anni, da quando era bambina fino alla giovinezza. L’avventura spirituale di Orfeo s’intreccia così non solo con la vita privata della madre Eva Grillo, ma anche con gli avvenimenti storici compresi tra il 1893 e il 1917. Precipitato in un passato che già conosce, egli non può  rimanere però indifferente. Come un postero che si ritrova in un tempo privo delle tradizionali barriere e che gli si presenta antico e nuovo contemporaneamente, egli si dibatte tra possibile e impossibile, sotto la stretta vigilanza di Monsieur des Oiseaux, preoccupato che Orfeo non cerchi di modificare la trama del destino. Ma qual è il vero paradiso? Quello che consiste nel possesso delle persone e del passato, nella non accettazione della morte e, in fin dei conti, della libertà, come è stato concesso a Orfeo, oppure quello che ha come unica forza e verità l’amore, qui, in questa vita, e oltre?

Luigi Santucci è molto abile nel mantenere viva, durante la narrazione, la curiosità del lettore e, al contempo, nel porre interrogativi riguardanti le questioni fondamentali dell’esistenza. L’amore e la morte, la memoria e il dolore si contendono qui la loro partita all’interno di una prospettiva religiosa, «in bilico tra il terrore e la grazia», come ebbe modo di sottolineare Giancarlo Vigorelli. E vale la pena citare anche ciò che scrisse al riguardo Claudio Marabini: «Un romanzo fantastico, vertiginoso, giocato sulla pelle del Tempo e della Morte […] in cui lo scrittore sfiora l’inesprimibile, dà verbo all’ineffabile».

Perché, a ben vedere, la vicenda di Orfeo è in realtà tutta interiore, e i personaggi che incontra, oltre a essere se stessi, nella loro realtà in carne e ossa, sono sempre anime che si relazionano con quella del protagonista. Basti pensare alla figura di don Pasqua, straordinario e stravagante prete erborista, le cui parole da profeta, hanno un potere speciale e risuonano più volte nella mente di Orfeo. Don Pasqua è l’altra voce rispetto a quella demoniaca di Monsieur des Oisseaux. Ed eccola, la voce di don Pasqua: «Il bene lo vogliamo, il male no, lo subiamo. Tutta la vita è mobilitata, in ogni attimo, contro il male». E rispetto al tempo e alla morte afferma: «La commedia del tempo, questo vecchio istrione. Tutti ci cascano, lo so. […] Chi amiamo, per noi muore in ogni istante […] Amare è questo esercizio di vedere continuamente l’altro sul letto di morte. Già saltare in fondo a questa breve stagione di farfalle… È solo il falso amore che ha bisogno dell’avvertimento, della separazione: di quella che noi chiamiamo la perdita».  Poi, additando il sole che stava scendendo dietro le Prealpi, così si rivolge a Orfeo: «Tramonta, il vecchio amico. Ma anche lui recita. Ci credi tu al suo tramonto? Domani sarà qui di nuovo; gira gira, gli piace raccontare la favola dei giorni, degli anni… ma che cosa cancella, che cosa sostituisce qui dentro? […] Anche lui in una trappola, non ti accorgi?» «Che trappola?» «Io la chiamo Dio. Preferisci un’altra parola? È lo stesso: quello che non si muove, che non muore, insomma». Sono frasi queste che Orfeo sembra rifiutare, ma che in realtà lasciano un segno dentro di lui. 

Da non sottovalutare sono poi le pagine “storiche” riguardanti i morti di Milano del 1898 e la disfatta di Caporetto del 1917. Lo sguardo di Santucci si sofferma sui particolari, sui gesti, sulle fatiche e sulle speranze di chi lotta per il pane  e di chi combatte o scappa durante la guerra, in una ricostruzione veridica e puntuale. La Storia in cui Orfeo si ritrova è anche la storia della gente comune e della sua famiglia che, benché agiata, non è immune da quanto accade. Egli è un’anima sdoppiata e tentata, a un passo dall’abisso o dalla salvezza. E non è il caso di rivelare il finale del romanzo per non privare il lettore del piacere della scoperta.

Per concludere, un’informazione. Nel dicembre 1971, venne trasmesso uno sceneggiato RAI in due puntate (oggi pressoché dimenticato), tratto dal romanzo di Santucci, per la regia di Leandro Castellani. Interpreti principali: Alberto Lionello nel ruolo di Orfeo, Arnoldo Foà in quello di Monsieur des Oisseaux ed Erminio Macario in quello di don Pasqua.

 Mauro Germani