Con
Orfeo in Paradiso Luigi Santucci
(1918-1999) si aggiudicò nel 1967 il Premio Campiello. Si tratta di un’opera
assai originale, in cui la vicenda narrata si sviluppa mirabilmente in una
doppia dimensione, metafisica e storica insieme, ambientata nella Milano tra Ottocento
e Novecento. Orfeo, il protagonista,
disperato per la morte della madre vorrebbe gettarsi dal duomo di Milano,
ma viene fermato dal misterioso Monsieur des Oiseaux, che – con una sorta di
patto faustiano – gli concede di tornare indietro nel tempo per riavere accanto
a sé la madre e accompagnarla negli anni, da quando era bambina fino alla
giovinezza. L’avventura spirituale di Orfeo s’intreccia così non solo con la
vita privata della madre Eva Grillo, ma anche con gli avvenimenti storici
compresi tra il 1893 e il 1917. Precipitato in un passato che già conosce, egli non può rimanere però indifferente. Come un postero
che si ritrova in un tempo privo delle tradizionali barriere e che gli si
presenta antico e nuovo contemporaneamente, egli si dibatte tra possibile e
impossibile, sotto la stretta vigilanza di Monsieur des Oiseaux, preoccupato
che Orfeo non cerchi di modificare la trama del destino. Ma qual è il vero
paradiso? Quello che consiste nel possesso delle persone e del passato, nella non
accettazione della morte e, in fin dei conti, della libertà, come è stato
concesso a Orfeo, oppure quello che ha come unica forza e verità l’amore, qui,
in questa vita, e oltre?
Luigi
Santucci è molto abile nel mantenere viva, nella narrazione, la curiosità del
lettore e, al contempo, di porre interrogativi riguardanti le questioni
fondamentali dell’esistenza. L’amore e la morte, la memoria e il dolore si
contendono qui la loro partita all’interno di una prospettiva religiosa, « in
bilico tra il terrore e la grazia», come ebbe modo di sottolineare Giancarlo
Vigorelli. E vale la pena citare anche ciò che scrisse al riguardo Claudio
Marabini: «Un romanzo fantastico, vertiginoso, giocato sulla pelle del Tempo e
della Morte […] in cui lo scrittore sfiora l’inesprimibile, dà verbo
all’ineffabile».
Perché,
a ben vedere, la vicenda di Orfeo è in realtà tutta interiore, e i personaggi
che incontra, oltre ad essere se stessi, nella loro realtà in carne e ossa, sono sempre anime
che si relazionano con quella del protagonista. Basti pensare alla figura di
don Pasqua, straordinario e stravagante prete erborista, le cui parole da profeta, hanno un potere speciale e risuonano
più volte nella mente di Orfeo. Don Pasqua è l’altra voce rispetto a quella demoniaca di Monsieur des Oisseaux.
Ed eccola, la voce di don Pasqua: «Il bene lo vogliamo, il male no, lo subiamo.
Tutta la vita è mobilitata, in ogni attimo, contro il male». E rispetto al
tempo e alla morte afferma: «La commedia del tempo, questo vecchio istrione.
Tutti ci cascano, lo so. […] Chi amiamo, per noi muore in ogni istante […]
Amare è questo esercizio di vedere continuamente l’altro sul letto di morte. Già saltare in fondo a questa breve stagione di farfalle… È solo il falso amore
che ha bisogno dell’avvertimento, della separazione: di quella che noi
chiamiamo la perdita». Poi, additando il
sole che stava scendendo dietro le Prealpi, così si rivolge a Orfeo: «Tramonta,
il vecchio amico. Ma anche lui recita. Ci credi tu al suo tramonto? Domani sarà
qui di nuovo; gira gira, gli piace raccontare la favola dei giorni, degli anni…
ma che cosa cancella, che cosa sostituisce qui dentro? […] Anche lui in una
trappola, non ti accorgi?» «Che trappola?» «Io la chiamo Dio. Preferisci
un’altra parola? È lo stesso: quello che non si muove, che non muore, insomma». Sono frasi queste che Orfeo sembra rifiutare, ma che in realtà lasciano un segno dentro di lui.
Da
non sottovalutare sono poi le pagine “storiche” riguardanti i morti di Milano
del 1898 e la disfatta di Caporetto del 1917. Lo sguardo di Santucci si
sofferma sui particolari, sui gesti, sulle fatiche e sulle speranze di chi
lotta per il pane e di chi combatte o
scappa durante la guerra, in una ricostruzione veridica e puntuale. La Storia
in cui Orfeo si ritrova è anche la storia della gente comune e della sua
famiglia che, benché agiata, non è immune da quanto accade. Egli è un’anima sdoppiata
e tentata, a un passo dall’abisso o dalla salvezza. E non è il caso di rivelare
il finale del romanzo per non privare il lettore del piacere della scoperta.
Per
concludere, un’informazione. Nel dicembre 1971, venne trasmesso uno sceneggiato
RAI in due puntate (oggi pressoché dimenticato), tratto dal romanzo di Santucci, per la regia
di Leandro Castellani. Interpreti principali: Alberto Lionello nel ruolo di
Orfeo, Arnoldo Foà in quello di Monsieur des Oisseaux ed Erminio Macario in
quello di don Pasqua.
Mauro Germani