mercoledì 31 agosto 2022

"Storie di un'altra storia": appunti di lettura di Giuseppina Di Leo

 


Ringrazio Giuseppina Di Leo per questi suoi appunti di lettura relativi al mio libro.


*Storie di un’altra storia. Racconti* di Mauro Germani. – 1. ed. - Calibano Editore: Novate Milanese (MI), 2022. – 144 pag. ; € 14,00.


Confusione e disappartenenza sono gli stati d’animo predominanti dei protagonisti dei racconti di Mauro Germani: uomini soli, disorientati, se non addirittura angosciati di fronte ai cambiamenti o alle scelte che talvolta la vita impone.

Alcuni racconti brevi parrebbero in bozza (Sul tram; I prigionieri) e quasi scritti in periodi di tempo differenti.

Il senso di mistero che pervade i luoghi, sono fonte di sgomento di ciascun personaggio e potrebbe darsi dello stesso narratore, identificato con un io-protagonista sopraffatto da eventi più grandi di lui o difficili da decifrare.

Ciascun racconto costringe il lettore a una pausa di riflessione.

Ma vediamone alcuni.

Un uomo redige con scrupolo una serie di rapporti, sono rendiconti del tempo che passa, notiziari di carta nei quali a prevalere dovranno essere valori come verità e onestà.

Ma questo modo di agire è sufficiente per essere a posto con la propria coscienza? e se, invece, il fare comportasse di avere uno sguardo diverso, come modo nuovo di intendere la vita?

La domanda è di per sé retorica se, dopo un sogno, l’uomo comincerà a dubitare delle sue ordinarie, ordinate certezze. (I rapporti)

Il capovolgimento di senso è un’altra caratteristica dell’autore. (Omicidio notturno)

Nel racconto La Cattedrale il luogo sacro sembra essere a sua volta luogo simbolico della conoscenza perduta, quasi paradigma del grembo materno in cui poter tornare a racchiudersi; o la via per riscoprire i reconditi poco esplorati o forse dimenticati (i bui corridoi, le cripte). Ma la cattedrale rappresenta il mondo stesso, il luogo in cui per ricordare occorre prima aver dimenticato. Il dato onirico da cui probabilmente trae origine questo come forse altri racconti, assume in sé carattere ancestrale e quasi mitico. L’immersione nel proprio io diviene ricerca dell’altro-da-sé.

Il vecchio maestro sente vacillare in sé la propria fede, nemmeno le preghiere lo confortano più. Il suo giovane discepolo rimane stupito dalle sue parole di sconforto, ma comprende anche un qualcosa che va ben oltre di ciò che ascolta: l’estremo senso di speranza nelle stesse parole racchiuso. (Il fiume)

Inquietante è poi La deviazione, tanto da sembrare la descrizione di un incubo:

Un uomo si perde nella notte a causa di alcuni lavori in corso. Si ferma in un paesino in festa, ma tutto fa presagire che aspettavano lui come vittima sacrificale per un aldilà senza ritorno…

Le ambientazioni sono quasi sempre notturne, i paesaggi desolati. In questo scenario, nel momento in cui sembra tardi ormai per rimediare a eventuali errori del passato, uomini senza grandi aspirazioni si ritrovano a fare i conti con il proprio “fantasma” o, anzi, con il proprio modo di essere. Difficile allora, se non impossibile, perché troppo tardi, poter riprendere una vita desiderata, mai interamente realizzata.

Tra le diverse recensioni, quella di Federico Migliorati focalizza, a mio modesto parere, i punti salienti dei racconti indicando poi l’ultimo di essi, *Il Capolavoro*, come la chiave di volta dell’intero libro.

Di Migliorati, in particolare, condivido quando dice: «Nei testi di Germani nulla è come appare in un primo momento: la psicologia dei personaggi li induce a errare, conducendo il lettore stesso fuori strada…».

E qui sottolineerei il termine “errare” per il duplice significato del verbo, in quanto è la stessa duplicità insita nei personaggi, come acutamente il recensore rileva.

Sono personaggi stralunati, ossessionati dalle loro fobie, inquieti. Ciò che a loro manca è soprattutto il tempo, elemento principe dell’ossessione.

L’«altrove misterioso» (L’uomo di un’altra storia) risiede al di là del luogo fisico e al di là del tempo. Se un’urgenza c’è, quella cercata è davvero la dimensione temporale, dimensione che, seppur a volte sottesa, è ben presente in tutti i racconti: la dimensione di un tempo che si è perduto, o quella di un tempo (ancora proustianamente?) da “ritrovare” per sé, come misura della propria condizione spirituale.

Vorrei però soffermarmi un attimo proprio sul racconto *Il Capolavoro*, decisivo sia per il finale “a sorpresa”, che ricorda Il cavaliere inesistente, ma anche e soprattutto per la citazione a Edmond Jabès in esso contenuta.

Un difetto del protagonista, Andrea Sismondi, consisteva nel non riuscire a scrivere «l’impossibile» che sentiva dentro di sé, cosa che gli fa dire: «quando pensavo alla scrittura, pensavo anche alla morte. Mi parevano unite da un mistero profondo: l’enigma della scomparsa. Ricordavo spesso un’affermazione di Edmond Jabès secondo cui la morte è lo spazio bianco che separa i vocaboli e li rende intelligibili. […] La vera scrittura doveva essere *pericolosa*, essenziale, inafferrabile; doveva nascere ai bordi del silenzio, anzi conservare in se stessa l’impronta di quel silenzio.»

Ora, citare Edmond Jabès significa riconoscere nell’impronta della parola il mistero della nostra condizione umana.

La poetica di Jabès, scrittore ebreo, trae origine dal «rapporto tra scrittura e vocalità».

Nel parlare del *Livre des questions* di Edmond Jabés, Jacques Derrida mette in evidenza il tema della separazione o dell’assenza e, proprio per sollevare la maschera dell’ambiguità che si cela nella scrittura, dice: «Scrivere significa ritirarsi. Ma non nella tenda per scrivere, ma dalla scrittura stessa. Arenarsi lontano dal proprio linguaggio, emanciparlo o sconcertarlo, lasciarlo procedere solo e privo di ogni scorta. Lasciare la parola. Essere poeta significa saper lasciare la parola. Lasciarla parlare da sola, il che essa può fare solo nello scritto» (in *La scrittura e la differenza*).

Giuseppina Di Leo