lunedì 8 giugno 2020

Marco Molinari - Il grande spettacolo di guardare in alto


Marco Molinari, Il grande spettacolo di guardare in alto, Ronzani Editore, 2020

Marco Molinari guarda in alto, in questa sua nuova raccolta poetica. Qui – più che nella produzione precedente – i versi rivelano un desiderio di appartenenza e al tempo stesso di libertà, laddove il cielo sembra riflettere la terra e la terra, la «grande pianura» (che cantò Bellintani, poeta della provincia mantovana, attento alle voci arcane della natura, ed oggi quasi dimenticato) guarda il cielo.

In questa reciprocità, che per Molinari è anche scoperta di sé e conoscenza, nonché memoria individuale e collettiva, si delinea una sorta di realismo, che però è anche e sempre altro, attraversato com’è da forze misteriose, ovvero slittamenti di senso, ossimori o paradossi, che s’innervano nei testi con naturalezza, senza alcuna artificiosità e senza alcun compiacimento. Il dettato di Molinari delle ultime prove, infatti, sembra proprio aver raggiunto un equilibrio originale (ed assai raro); una voce, cioè, che si fa di volta in volta sempre più personale, ora modulandosi nella narrazione poematica, ora nel ricordo-confessione, ora nella descrizione di personaggi marginali, o di scorci paesaggistici. E con la volontà di compiere un percorso poetico autonomo, appartato, autentico, nell’intento di cogliere l’esistenza ed il proprio mistero nel vissuto, in ciò che è avvenuto nel tempo e che in quel tempo è stato sognato.

Assai rilevante, in proposito, risulta la prima sezione del libro, Tagliare per i campi, che racconta di una deambulazione, che è insieme fuga e ritorno, desiderio di allontanamento ed appropriazione di sé, prima che sia troppo tardi, in una pianura attraversata come in una dimensione onirica, scossa da senso d’attesa, ansia e speranza, fino a raggiungere i confini davanti al mare, e scoprire il margine tra sogno e realtà.

La sezione Le mie menti riguarda, invece, i pensieri solitari, scissi, sconvolgenti, rivelatori di verità altre, ma anche di sofferenze. Menti multiple, quindi, come assoluti esistenziali, che s’impongono nella solitudine, nelle lacrime, nel sogno, tra il quotidiano e l’altrove, e che aprono scenari imprevisti, destinati all’oblio, fino a che resta lo spazio per una mente «minuscola, quasi / larva o feto o simulacro / […] che ristora, senza peso, / e nessuno la incatena».

E la tensione presente in Molinari tra realtà e sogno si trova anche nei paesaggi, che appaiono nella loro mutevolezza, laddove attimi d’incanto si alternano a momenti in cui «quel che manca / sopravanza quel che c’è», oppure nasce il desiderio di un incontro con un amico, con il quale parlare all’interno di un «quadro impressionista».

Vi sono continui rimandi tra le varie sezioni del libro, fili sottili che congiungono passato e presente, passo dopo passo, anni giovanili, esperienze ormai lontane e consapevolezza attuale, tra disinganno e  rinnovato stupore, tra malinconia e desiderio di comprensione e chiarezza ulteriore.

Dai ricordi dei vent’anni e alle loro speranze, quando era facile confondere la vita con la poesia, fino ad oggi ed alle “schiere dei poeti” che «si sono dissolte», ecco – nonostante tutto – le meraviglie improvvise, le «rinascite» inaspettate (come quella di un castoro o di un uccello feriti), che testimoniano il mistero dell’esistenza, piccoli miracoli dalla morte alla vita, o il desiderio di una possibilità dentro la natura stessa: «Voglio rinascere in una minuscola / erba sconosciuta […]». E qui c’è tutta la predilezione di Molinari per il piccolo, per ciò che apparentemente non conta ed è considerato trascurabile.

Ma è soprattutto nella sezione Il grande spettacolo di guardare in alto, che sembra risiedere la novità del libro. Lo sguardo di Molinari si solleva verso il cielo e scopre, oltre l’assurdità dell’infinito, «solo un centimetro di nuvola / ridente» che saluta come «un vecchio amico», oppure la promessa del vento sotto «poche stelle che illuminano l’oscura / valle, l’oscura città, l’oscura vita», o ancora la tempesta mancata, e “tutto riposa / lassù per lo scampato pericolo / i visi si appendono al velo della sera / e raspano nel muschio innocente / che nasconde gli anni d’infanzia». Pare proprio che lassù, dove «non ci sono strade né vicoli», dove non esiste il tempo, ma il sempre, e dove tutto muore e tutto nasce, si possa indovinare una corrispondenza segreta, persino un volto sfumato, non compatto, che suggerisce mille interpretazioni.

Infine i ritratti di personaggi minori, umili e quotidiani (tra gli altri, le parrucchiere che «trattano i figli come i capelli»; il barbiere come «un re buono un nobile elegante»; il giocatore di dama che «possedeva una scienza semplice / nel silenzio della pianura»; il pescatore di legna che dal Po tirava su «i pezzi di legno che la corrente / portava a foce), una sorta di teatro interiore, colmo di pietas, a cui Molinari ci ha già abituato nelle precedenti raccolte, e che si unisce qui a luoghi e momenti che prendono forma nel ricordo e nell’innocenza di un tempo, suscitando un senso di malinconica nostalgia se confrontati alla desolazione odierna, alla natura violata e all’indifferenza spesso associata all’arroganza. Ecco, ad esempio, la poesia intitolata La messa delle dieci e trenta, in cui Molinari ricorda il senso di festa e la sicurezza dei chierichetti come lui di essere «dalla parte del Signore, Lui era con noi / e allora lì non temevamo niente / per un’ora eravamo gli angeli, gli apostoli / i profeti, era davvero una festa». O, ancora, il ricordo di quando passava la processione ed «ogni casa / aveva il medesimo sorriso / di luci».

Come afferma Pasquale Di Palmo nella prefazione, il «recupero memoriale» appare, in questa raccolta, «sferzante come un giudizio senza appello nei confronti degli ultimi avvilenti decenni».

Il guardare in alto, allora, non significa nascondere il presente, ma cercare un « grande spettacolo», qualcosa che ci faccia aspirare ad una bellezza dimenticata e ci faccia comprendere meglio chi siamo e che cosa facciamo quaggiù.

«Ma quando non ci sono strade / perché si sono cancellate / non rimane che salire», dicono infatti i versi di Molinari.

Mauro Germani