sabato 30 dicembre 2023

Domenico Notari - I borghi invisibili

 


Domenico Notari, I borghi invisibili, Officine Pindariche, 2023

Originalità e invidiabile freschezza narrativa contraddistinguono quest’ultimo libro di Domenico Notari: quattro leggende inventate dall’autore e poi drammatizzate nei paesi campani in cui sono ambientate: Palomonte, Serre, Roscigno Vecchia e San Cipriano Picentino. Località poco conosciute in provincia di Salerno (e una di queste, Roscigno Vecchia, ormai abbandonata) che, grazie a questi racconti, diventano protagoniste di sorprendenti e particolari vicende gotiche. Infatti, come afferma Giulio Leoni nella prefazione, quello di Notari  è «un gotico italiano, contaminato con alcune caratteristiche dei nostri popoli», cioè legato alla cultura e alla storia del nostro Paese. 

Ed è proprio per questo che non si può non appassionarsi alle storie dei vari protagonisti. A cominciare da quella di ‘O signurino, esperto nell’arte dell’orologeria e «vero genio della meccanica», artefice di un automa che, con uno sberleffo, dà vita a una rivolta popolare. Segue poi il racconto tenero e misterioso dell’eroica e fedele cagnolona Diana, «un vecchio molosso dal manto fulvo», del re Ferdinando IV di Borbone. La terza leggenda vede invece protagonista il cavalier Mazzeo, «un giovane alto, bruno, la corporatura robusta, il giustacuore sgualcito e impolverato», che viene attratto da un ammaliante canto femminile proveniente dalle acque di un lago profondissimo e senza nome. Conclude la raccolta la vicenda del “fanciullin cortese” che, proveniente da un passato lontano, assiste e protegge, in nome della poesia e della cultura, nonché di un’umana fratellanza, un giovane destinato  a diventare poi un illustre filosofo.  

Domenico Notari ci restituisce l’antica  memoria di questi borghi invisibili in modo vivace e accattivante, mediante un gioco sapientemente orchestrato tra storia e immaginazione, dove la fantasia diviene reale e il reale svela il suo lato nascosto e magico. Le descrizioni degli ambienti e dei personaggi creano atmosfere al tempo stesso concrete e misteriose, che ben preparano nel racconto il susseguirsi di sorprese e di colpi di scena. Ciò che risulta ammirevole è la capacità dell’autore di rendere naturale la narrazione, ossia senza alcuna forzatura, in modo che il fantastico e l’imprevedibile, il misterioso e il gotico, siano tutt’uno con gli eventi reali e storici, rappresentando così la loro verità segreta. E non è forse questa la peculiarità di ogni leggenda? Non è forse questo il fascino antico delle nostre storie popolari, dei nostri borghi in via di estinzione, eppure così ricchi di tradizioni e di misteri che chiedono di essere riscoperti, prima che sia troppo tardi? 

Grazie, dunque, a Domenico Notari che con creatività e intelligenza ci consegna queste «quattro leggende per quattro tradizioni ormai mute», come recita il sottotitolo, impreziosite, tra l’altro, dalle belle illustrazioni di Enzo Lauria. Queste ultime riproducono, infatti, i momenti salienti dei vari racconti, componendo così – come in un libro nel libro – un suggestivo graphic novel. Per tutti i motivi suddetti, I borghi invisibili è una pubblicazione che non solo ci regala, in questi tempi bui e confusi, il piacere della lettura, ma può anche essere definita “da collezione”, cioè da collocare in un posto speciale della nostra biblioteca.

Mauro Germani

mercoledì 27 dicembre 2023

Igino Ugo Tarchetti: totalità infranta e dualismo (su "Racconti fantastici" e "Fosca")




C’è sempre qualcosa di incompiuto, di non detto, di segreto nei Racconti fantastici di Igino Ugo Tarchetti (1839-1869), pubblicati postumi nel 1869. Anche quando le vicende narrate sono inserite in una cornice cronachistica, non perdono mai quell’insondabilità e quel mistero che le accompagna. 

Esponente non secondario della cosiddetta Scapigliatura, Tarchetti esprime con la sue opere più significative –  i Racconti fantastici, appunto,  e il romanzo Fosca (1869) – la ricerca inquieta e impossibile di una realtà totale dell’uomo, il quale appare sovente scisso, tormentato da un dualismo senza scampo. Ed è proprio in questa totalità infranta, smarrita, irrecuperabile che risiede il contrasto tra il reale e l’ideale e che genera i fantasmi e le invenzioni  di Tarchetti.  Nel perenne dissidio tra luce e ombra, tra ragione e follia, tra vita e morte, si può riconoscere lo scrittore stesso, nel tentativo sempre vano di «trovare il centro della propria anima», come si legge nelle prime pagine di Fosca.  

L’uso  prevalente della prima persona verbale  è infatti la prova, da parte di Tarchetti, della necessità di non prescindere dalla propria esperienza e dalle proprie ossessioni; gli io protagonisti  si possono così legittimamente interpretare come trasfigurazioni, più o meno fantastiche, di angosce e di aspirazioni irrisolte dentro trame sfuggenti e feroci al tempo stesso. Ciò che accade ai personaggi è in qualche modo già accaduto all’autore, il quale – uscendo da sé medesimo – narra il suo doppio oscuro, tenta costantemente il limite tra apparenza e realtà, invertendo spesso i due termini e anticipando così problematiche tipicamente novecentesche.  È interessante notare, poi,  come temi romantici e ideali si capovolgano talvolta nel loro contrario, ma senza una completa perdita di entrambi, perché le loro conseguenze non si dissolvono mai del tutto e sopravvivono nell’ambiguità di un vero che è sempre oltre, ossia aldilà della coscienza. 

Nei Racconti  fantastici risultano di particolare rilievo I fatali, La lettera U, Un osso di morto. Nel primo, due individui sono portatori di tremende sciagure, ma non si sa chi siano veramente e viene messa in dubbio la loro doppia identità. La lettera U è la straordinaria storia di un’ossessione senza scampo, che rivela in realtà quella per la scrittura: la lettera in questione assume caratteri demoniaci  e il protagonista ne ha un vero e proprio orrore, dovuto soprattutto a alla sua forma, a «quella linea che si curva e s’inforca – quelle due punte che vi guardano immobili – quelle due lineette che ne troncano inesorabilmente, terribilmente le cime – quell’arco inferiore, sul quale la lettera oscilla e si dondola sogghignando – e nell’interno quel nero, quel vuoto, quell’orribile vuoto che si affaccia dall’apertura delle due aste, e si ricongiunge e si perde nell’infinità dello spazio…». Ecco che qui ritorna il tema del doppio, insieme a quello della mancanza e del vuoto. In Un osso di morto vi è invece il desiderio, da parte di uno spettro, di riappropriarsi  di una parte del proprio scheletro, così come nel racconto lungo Storia di una gamba l’ossessione per la perdita dell’arto inferiore s’intreccia in una storia in cui malinconia e amore, pietà e amicizia sfidano i loro stessi limiti e si aprono verso territori ignoti e pericolosi. 

Il pericolo, infatti, è sempre in agguato nelle storie di Tarchetti, nelle quali avvengono capovolgimenti continui e improvvisi, che la semplice ragione non riesce a controllare. È il caso del romanzo Fosca dove assistiamo a un singolare gioco di specchi sul tema dell’amore, tra momenti idilliaci, menzogne, e inquietanti passioni morbose. Le due donne della vicenda, la luminosa Clara e la tenebrosa Fosca, s’impadroniscono, a loro modo, della vita di Giorgio, il protagonista, ma entrambe sono segnate da un’impossibilità: Clara ha un marito; Fosca, invece, è di una «bruttezza orrenda» ed è gravemente malata. La passione folle che quest’ultima prova per Giorgio sarà fatale per entrambi: il malessere della donna (la sua non è solo una malattia fisica, in quanto ella è anche divisa in se stessa, e appare spesso duplice), e il senso di morte si accompagnano ad un amore vampiresco che non potrà che travolgere l’esistenza del protagonista, il quale scoprirà di essere comunque attratto dalla donna. Qui il dualismo di Tarchetti è ancora più accentuato e non trova pace; di questo Fosca è la testimonianza più autentica e drammatica.

Mauro Germani