giovedì 31 agosto 2023

Antonio Fiori - Vita di un altro


 Antonio Fiori, Vita di un altro, Inschibboleth, 2023

C’è sempre la vita di un altro nella nostra vita. Un altro che è la nostra ombra, il nostro doppio sconosciuto. O addirittura siamo noi, che viviamo dentro uno specchio, non essendo che immagini riflesse?

Chi ha letto I poeti del sogno (Inschibboleth, 2020) di Antonio Fiori troverà in questa sua nuova pubblicazione interrogativi o sollecitazioni ulteriori, giacché Vita di un altro, in cui s’intersecano prosa e poesia, appare un’opera ancor più stratificata e sfaccettata rispetto al libro precedente. Con una perizia linguistica che incanta per leggerezza e profondità insieme, ci viene incontro una scrittura  sorprendente nel suo abisso segreto, sapientemente sospesa tra finzione e candore, tra sottile ironia e mistero. Vengono alla mente, durante la lettura, grandi autori come Rimbaud («io è un altro»), Pirandello, con l’ambigua dialettica e scambio di ruoli tra persona e personaggio, e Borges, in cui il sogno della scrittura si specchia nella scrittura del sogno. Tuttavia Fiori va aldilà delle mere esibizioni letterarie, sceglie una distanza, se non addirittura un’assenza, in cui esercitare la propria sotterranea malia, come uno spettatore dei propri atti misteriosi, oppure un lettore che si stupisce di quanto egli stesso è chiamato a scrivere. 

La prima sezione del volume, Quaderno del sogno, riporta nuove poesie oniriche, che – come nel libro precedente – sono nate tutte dall’irrompere in sogno di una lingua sconosciuta: testi in cui appaiono malinconica meraviglia, coscienza del tempo, senso del peccato, pena di vivere, e desiderio d’amore, contraddistinti da un’ammirevole limpidezza di stile e da un’urgenza calibrata. 

Assai singolare risulta, poi, la seconda sezione intitolata Ritratti, nella quale sono presenti poesie attribuite a poeti viventi: un omaggio affettuoso e di stima di Fiori, in cui egli stesso si fa specchio dei versi altrui, con un’operazione che potrebbe definirsi medianica, ma certo non passiva. 

La parte centrale e più corposa è quella che dà il titolo al volume. Essa è formata da prose brevi e nitidissime che narrano, per contrasto, paradossi, imprevisti, folgorazioni improvvise, colpi di scena, enigmi e reticenze dentro le pieghe del quotidiano, nell’esistenza di un altro. E l’ambiguità, ancora una volta, fa da padrona, s’innerva in un particolare, oppure in situazioni che paiono marginali o trascurabili. Si ha sempre la sensazione di un gioco di specchi, di qualcosa che sfugge pur essendo di grande importanza, cosicché  i brani (godibilissimi, nell'attenzione che riservano al sottinteso o alle stranezze dell'esistenza)  possono essere letti sia come descrizioni di accadimenti e di pensieri altrui, sia come confessioni traslate: chi narra, infatti, non può che condividere una complicità sognata con il potenziale lettore. Si veda, a tal proposito, l’Epilogo che chiude il libro in modo inaspettato. 

Con Vita di un altro Antonio Fiori ci consegna un’opera multipla, in cui s’avverte una sorta di scrittura dell’infinito, un desiderio di andare oltre gli spazi consueti della letteratura, e soprattutto delle apparenze tra reale e immaginario. Perché il sogno e l’esistenza – che ad esso è strettamente unita – hanno sempre altre parole. E sono proprio queste ultime, nel loro mistero, che la poesia insegue.

Mauro Germani

venerdì 25 agosto 2023

Louis-Ferdinand Céline - Guerra


 Louis-Ferdinand Céline, Guerra, Adelphi 2023

Non c’è come la guerra, nella sua atroce follia, a dire dell’esistenza offesa e priva di tutto, del suo continuo delirio nel fondo della notte. Céline lo ha sempre saputo e lo ha scritto, come conferma questo testo, abbandonato dallo scrittore al momento della Liberazione nel suo appartamento di rue Girardon a Montmartre e recentemente recuperato insieme ad altri inediti. Egli, infatti, con la sua prosa terremotata e sarcastica, con il suo tono volutamente basso, testimonia la condanna che vivono i suoi personaggi, a cominciare da Ferdinand, qui ventenne, ferito a un braccio e con una grave lesione all’orecchio a causa di un’esplosione («Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa»). 

Come in Viaggio al termine della notte, tutto è fisico, anche ciò che non si direbbe. E questa fisicità insistita, che assume spesso toni grotteschi, raccapriccianti e visionari, rivela quella particolare attenzione che contraddistingue Céline: è la vita dal punto di vista della morte, vale a dire una forza che si dibatte in prossimità della fine e che spesso sorprende gli stessi personaggi. Si potrebbe definire una solitudine che è moltitudine, qualcosa che accomuna tutti, che s’attacca alla carne e non la lascia più. Anche la sessualità (presente in questo testo più che in altri, come un’ossessione) non fa che dibattersi tra la vita e la morte, ma è soprattutto quest’ultima a prevalere: è un piacere momentaneo, da disperati, perché segnato dalla fine incombente, e caratterizzato da aspetti ridicoli o mostruosi, a seconda dei casi, come fosse una malattia dentro la malattia della guerra (e leggendo ancora una volta Céline viene da pensare come la «sua» malattia sia lontana da quella intellettuale di Svevo o di Sartre, e come la «sua» carne viva, trovi in fondo maggiori consonanze con quella di Tozzi o di Testori…). 

Bisogna aggiungere che, rispetto a Viaggio al termine della notte, questo testo appare più grezzo e soprattutto più crudo. Non troviamo qui quella tenerezza improvvisa che sgorga dal celebre romanzo, quella nostalgia d’altro che s’impossessa inaspettatamente (ma sempre fisicamente) di Ferdinand e di altri personaggi. Qui il protagonista appare meno sfaccettato; Angèle, la moglie- prostituta di Bébert non è certo Molly, e lo stesso Bébert non è Robinson, anche se – come afferma nella nota il traduttore Ottavio Fatica – «ci troviamo davanti a un torso sgomentante per terribilità, a volte quasi inguardabile per violenza, per crudezza, che anche dietro al rictus più osceno serba un’ombra velata di pietà». Inoltre la scrittura, pur essendo indubbiamente riconoscibile e celiniana, non è così sincopata, sospesa, cadenzata, come in altre opere (Morte a credito, per esempio). 

Inequivocabile è, invece, la presenza costante della morte, a cui tutti i personaggi – consapevoli o no – corrono incontro, anche coloro che credono di scappare altrove. È un perdersi da qualche parte («Certo che è enorme la vita. Ti ci perdi dappertutto»), è vivere come si può, è essere artisti con quello che si ha a disposizione. Perché per Céline la vita è davvero enorme, ma si agita sempre nella morte.

Mauro Germani