martedì 22 febbraio 2022

Francesca Rita Rombolà: recensione a "Storie di un'altra storia"


Ringrazio Francesca Rita Rombolà per la sua recensione "La scrittura di Mauro Germani in Storie di un'altra storia", pubblicata sul sito "Poesia e letteratura" il 21/02/2022: QUI


venerdì 18 febbraio 2022

Rinaldo Caddeo: recensione a "Storie di un'altra storia"


Mauro Germani, Storie di un'altra storia, Calibano ed. Novate Milanese (MI), 2022

C’è una frontiera visiva che assedia le narrazioni di Mauro Germani: la notte, l’oscurità. Le sue figurazioni, i personaggi, i nomi, i gesti, le frasi, le singole parole, nascono in un fondale buio, da cui emergono obliquamente illuminati, come in un quadro di Caravaggio. 
Prendiamo il racconto I PRIGIONIERI: «Oggi ho passato in rassegna i miei prigionieri. Come al lume di una fiaccola, ho visto brillare i loro volti nel buio. Eccoli – tra tempo e tempo – incerti di se stessi, in bilico davanti al mio sguardo.» (pag.54). Chi sono? 
Sbucano dalla notte e dal silenzio, ciascuno con uno sguardo, una postura, un tono, una mimica. Il loro proprietario immagina di essere il padrone del gioco, il croupier o il capocomico, ma non è così: «S’impongono di sera, specialmente, quando la mia giornata volge al termine e vorrei un po’ di pace. Essi, con le loro figure sconvolte e un po’ deformi, incominciano ad animarsi, a prendere vita, a reclamare il diritto di esistere ancora. Mi fanno credere di essere al mio servizio, di obbedire ai miei ordini, di recitare quella parte che io conosco da sempre. Sono bravissimi – lo ammetto. Fanno i prigionieri, i miei sudditi, i miei schiavi, e io ogni volta cado nell’inganno, penso di possederli, di incatenarli al mio volere. Mi sento il padrone assoluto con diritto di vita e di morte su ciascuno di loro, ma so che la verità non è questa, è ben altra. In alcuni momenti di lucidità, mi rendo conto di essere io il vero e unico prigioniero dentro tutto quel buio.» (pag.56). Vengono in mente I sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello. Pirandello li ha cacciati. Loro si vendicano imponendosi, imponendo la loro presenza, la loro storia, il loro dramma, la loro incomunicabilità, sul palcoscenico di un altro dramma, di un’altra storia dello stesso autore: storie che s’intromettono in un’altra storia. 
Ancora più che in Pirandello, i personaggi di Germani, le loro storie, vivono ai confini, si incrociano in una terra di nessuno o ritornano inghiottiti dalle tenebre a cui sono affiorati. Nel primo racconto, LE PARTENZE, abitano in stazioni o in vagoni ferroviari, non-luoghi sottoposti all’arbitrio di orari segreti e di tabelle di marcia compilate secondo criteri sconosciuti, sempre pronti, felici e contenti, di partire per destinazione ignota. 
In L’ULTIMA NOTTE entriamo in un mondo di ricordi dato che ogni cosa è ricordo. Sono sensazioni originarie che trapelano dall’infanzia, da un’epoca senza tempo: «La nebbia del fiume. Quel silenzio come un addio prolungato. Quelle sere dietro ai vetri un poco appannati. Gli uomini che ritornavano dal lavoro a piccoli gruppi. Le premure delle donne. La tosse di suo padre. Le macchie di umidità sulle pareti delle stanze.» (pag.9). Piccole intime cose, minuzie, sempre più interne a un mondo segreto, crepuscolare. Luoghi tanto minuscoli, interstiziali, quanto mitici, riverberanti vaste eco, in cui il ricordo infantile si può fiabescamente mescolare con una reminiscenza letteraria buzzatiana (Il Deserto dei Tartari, ultimo capitolo): «Cadeva come un cavaliere, pensava. E la battaglia lo prendeva sopra un pavimento qualsiasi, agli angoli di polvere d’una stanza. Morire così, in una macchia trascurata, in una fessura quasi invisibile. Eppure combattere fino alla fine, senza nemmeno un’arma, né un esercito da comandare, né soprattutto un nemico.» (pag.10). 
C’è un centro di gravità nella dissoluzione delle forme e dei corpi, una sorta di missione: «Finire. Annullarsi. Annullare. In quella vertigine che amava, in quella verità da tutti ignorata e che non ha popolo, non ha storia. Portare il fuoco del sogno sulla terra e non risparmiare niente e nessuno». (pag.13). 
Nel racconto SUL TRAM, si passa dalla terza alla prima persona e si descrive uno stato onirico (torpore, svenimento?), tra coscienza e incoscienza, tra inabissamento ed elevazione, tra cielo e terra, tra buio totale ed esplosione di luci. Anche qui una condizione liminale e le tracce di una reminiscenza letteraria, La Metamorfosi di Kafka: «- Gregorio! Gregorio! – ma la sua voce si confondeva con altre voci e con figure indistinguibili come in due film sovrapposti.» (pag.19). 
In L’UOMO DI UN’ALTRA STORIA, invece, l’anonimo protagonista cerca la sua vera storia, smarrita chissà dove, chissà quando in un altrove misterioso. Si aggira come un fantasma, nel caos di una città straniera, che alle caratteristiche vorticose di una metropoli alterna quelle labirintiche di un suk orientale. La narrazione è scandita da un’epica, formulare iterazione del soggetto dell’impresa: l’uomo di un’altra storia. La conclusione è quella che ci riporta al primo racconto: «Alla stazione, l’uomo di un’altra storia salì sul primo treno che vide, senza nemmeno preoccuparsi della meta. […] dal finestrino, guardò la città scomparire: le bianche torri sempre più lontane, più piccole, più niente.» (pag.23). 
Ne L’ANIMA DELLA CITTA’, invece, c’è l’esplicito riferimento a Milano di cui si propone la ricerca di un’anima. Dov’è, che cos’è? Non c’è una risposta univoca ma sono molte le voci, le tracce, i nomi: quelle dei suoi abitanti, quelli delle piazze, delle strade, in centro, ma soprattutto in periferia. E quelle, più sfuggenti, impalpabili ma indelebili, dei ricordi. La chiesa del proprio quartiere, la scuola elementare. Ritornano i ricordi, precisi, lancinanti. La nostalgia, nel senso etimologico di dolore della distanza, reclama il suo pedaggio: «Il cortile dell’antico edificio, dove noi alunni ci riunivamo per i giochi di squadra e per le foto ricordo, è ora vuoto e illuminato dalla luna. Al secondo piano a sinistra riesco a scorgere l’aula dell’ultimo anno. Laggiù, invece, è il punto in cui mia mamma mi aspettava all’uscita. Per un attimo, una frazione di secondo appena, mi sembra di vederla, e rabbrividisco.» (pag.26). Ma forse l’anima di una città non esiste: «C’è solo la mia, invece, che mi chiama, mi parla, e io non la voglio sentire fino in fondo, perché ho paura di sapere la sua verità.» (pag.27). 
In L’ALTRO VOLTO, invece, c’è la narrazione di una esperienza di espropriazione: non è un’anima che cerca se stessa e fa fatica o non riesce a trovarsi e si smarrisce nei labirinti di una città. È un’anima altra, sconosciuta, che entra con prepotenza e prende possesso del corpo. Non è l’ignoto o il perduto perlustrato dal noto ma uno sconosciuto che invade e occupa, sia pure temporaneamente, la coscienza. Ecco, fin da subito: «Ogni notte l’anima di un altro mi possiede e io non so più chi sono né chi potrò essere. Tutto ciò che un tempo è stato mio ora non mi appartiene più.» (pag.41). Si tratta di un inseguimento e di un sequestro di persona che, accaduto una volta, si ripete ogni notte. Si disloca un altro paradigma letterario dello sdoppiamento, quello de Lo strano caso del dottor Jekill e del signor Hyde. A differenza di Stevenson, però, in Germani la violenza non viene inflitta sugli altri ma su di sé. È il principio di un’alienazione insanabile, di un capovolgimento dell’identità: «Le mie notti sono sue e, poco a poco, io divento lui: col tempo sarò lui, il mio sconosciuto e odioso nemico.» (pag.43). 
Con questo breve ma denso racconto prende inizio una serie potenzialmente inesauribile di capovolgimenti e di capovolgimenti di capovolgimenti, fino all’ultima narrazione, IL CAPOLAVORO, un vero e proprio racconto giallo, di cui non voglio sottrarre al lettore il gusto della scoperta. Qui lo sdoppiamento raggiunge un culmine perturbante di inquietante ambiguità. Oltre Pirandello, oltre Buzzati, oltre Stevenson, lo statuto stesso della realtà dell’autore, la sua esistenza, la sua azione, riceve una scossa di terremoto che apre crepe incolmabili nei muri dell’identità dello scrittore e della sua opera. 
IL CAPOLAVORO è una riflessione autobiologica sullo scrivere. Questa è una caratteristica che si può estendere agli altri racconti, volendo, anche a tutta la produzione di Germani. È il suo stigma stilistico. Un’ibridazione di lirica, aforistica, narrativa, critica, che porta a una vasta e angosciosa riflessione sulla scrittura che qui converge in un’unica, fatale domanda: chi è l’autore?

Rinaldo Caddeo

Mauro Germani - Storie di un'altra storia


Mauro Germani, Storie di un'altra storia, Calibano, 2022


Alcuni di questi miei racconti vennero letti nel 1984 da Almerina Buzzati, la vedova dello scrittore, la quale mi scrisse, in una bella lettera, di averli apprezzati molto e di avere provato una punta di rimpianto ad averli finiti.