sabato 1 novembre 2025

L'obbedienza dei santi


C’è un’obbedienza che non è di questo mondo, ma che si manifesta nel mondo. È quella dei santi, di coloro che rispondono con tutto il loro essere al fuoco della carità e del mistero. Non possono farne a meno, perché votati alla bellezza del sacrificio e al loro sparire in nome di ciò che è più grande. Sono presenze svuotate di sé e colme di Altro, volti poveri e luminosi, mani aperte alla sofferenza altrui. Sono segni viventi che restano nel cuore di chi li incontra. Senza di loro sprofonderemmo nel fango del mondo, saremmo vittime di noi stessi. Essi non evitano il fango, anzi lo cercano per liberare chi ne è prigioniero e ne è sommerso. Si sporcano, i santi, e lottano sempre, eppure la loro presenza è una luce, una benedizione che fa tremare, un candore che inginocchia.

Leggere ciò che hanno compiuto è già essere toccati dalla Grazia, sentire come un vento nel cuore, scoprire che nella sofferenza e nel dolore non siamo soli. Essi hanno spesso avuto una vita difficile, sono stati colpiti da tribolazioni, malattie, ingiustizie, la loro missione è stata quasi sempre osteggiata o derisa, e solo più tardi accolta e compresa. Il motivo è molto semplice: hanno obbedito a Dio e non agli uomini, riuscendo a respingere il principe di questo mondo. La tenacia della fede ha avuto il sopravvento, anche nei momenti più bui e dolorosi, quando la loro anima era messa alla prova, spesso insieme ai supplizi del corpo. Eppure quanto di estremo troviamo nella vita dei santi non deve spaventarci, né allontanarci perché giudicato impossibile. La parola impossibile, in questi casi, risulta spesso ingannevole, come uno specchio deformante o che riflette solo il nostro vuoto interiore.

Perché non rammentare le loro storie, non serbarle dentro di noi? Quando da bambino mi capitava di ascoltare o di leggere qualche episodio della vita di un santo (come San Francesco, Santa Teresa di Lisieux, San Gaspare del Bufalo, o altri), mi sentivo rapito da un grande mistero. Non erano fiabe, quelle, ma storie vere, di una realtà che prendeva l’anima e il sangue. Le fiabe non mi piacevano più di tanto, non mi catturavano fino in fondo, perché troppo palese era in loro la finzione. I racconti dei santi, invece, suscitavano in me forti emozioni: sentivo che trasmettevano nella sofferenza, nella carità o nel martirio, una vita dentro e oltre la vita.

I santi – è bene ricordarlo – non appartengono solo al passato. Esistono ancora oggi, e io credo che esisteranno sempre, perché il fuoco che divampa nel loro cuore è inestinguibile e fa sì che essi, in ogni tempo e in ogni luogo, non vivano a metà.

Ha scritto Bernanos: «Impegnarsi nella totalità dell’essere, impegnarsi tutti interi… Lo sapete, la maggior parte di noi impegna nella vita solo una debole parte, una parte ridicolmente piccola del proprio essere. […] Un santo vive impegnando totalmente la propria anima». E ancora: «I moralisti considerano la santità un lusso. La santità è una necessità. La santità, i santi, custodiscono quella vita interiore senza la quale l’umanità si degraderà fino a morire. È nella vita interiore che l’uomo trova le risorse necessarie per sfuggire alla barbarie o a un pericolo peggiore della barbarie, la schiavitù bestiale del formicaio totalitario».

Ecco allora che ci può essere una compagnia dell’anima che è davvero una lezione salutare, uno stare insieme a chi riesce a vincere l’urto del mondo: una presenza, quella dei santi e della loro speciale obbedienza, che chiama da un altro silenzio, e improvvisamente s’illumina nelle tenebre. Custodirla è come custodire un tesoro prezioso.

Dal mio libro Tra tempo e tempo, Readaction, 2022