mercoledì 18 dicembre 2024

Recensione di Filippo Ravizza a "Prima del sempre"


Ringrazio di cuore Filippo Ravizza per la sua recensione a "Prima del sempre" (puntoacapo editrice, 2024), pubblicata su Menabò online. Per leggere l'articolo cliccare QUI 

mercoledì 11 dicembre 2024

Giovanni Nuscis - Il tepore che resta

 


Giovanni Nuscis,
Il tepore che resta, Arcipelago Itaca, 2024

Giovanni Nuscis, con questa sua nuova raccolta, prosegue con coerenza la propria poetica, caratterizzata dalla nitidezza e dall’andamento piano e al tempo stesso vibrante dei versi: una scelta stilistica sorvegliata e rigorosa, sempre sobria, senza eccedenze. Attraverso le cinque sezioni presenti nel volume, è possibile cogliere una continuità tematica con il libro precedente, Il grande tempo è ora (Arcipelago Itaca, 2021): le riflessioni sull’esistenza si alternano o si intrecciano con quelle sulla società, sull’amore e sulla poesia, con uno sguardo attento al particolare, ai dettagli apparentemente trascurabili, che però assumono nel contesto poetico in cui sono inseriti grande rilevanza, divenendo segni rivelatori, tracce illuminanti nel tempo, spie di una realtà complessa, colta nei suoi contrasti, nelle sue contraddizioni, e in tutte quelle fragilità che spesso vengono ignorate per comodità o convenienza.

Quello di Nuscis è uno sguardo essenzialmente etico, improntato a un continuo discernimento che egli non indirizza solo alla nostra società, ma anche a sé stesso, mediante un esame delle proprie percezioni e del proprio intimo sentire: un atteggiamento che rivela un’onestà di fondo, una ricerca di equilibrio interiore nonché di una spiritualità che chiede di essere salvaguardata («Oh gravità / che anche il più basso dei voli interrompi / riportandoci a terra, / noi che solo volo siamo»), nonostante i momenti di malinconia dovuti al trascorrere del tempo, alle nuove fragilità, o all’indifferenza e agli egoismi che hanno il sopravvento nel nostro vivere quotidiano. Ecco dunque l’importanza dei varchi da scorgere e da attraversare come luci nel buio: «Se non fosse per voi / sottili varchi / nei muri rimbalzanti dei giorni; / se non fosse per le lotte /commoventi e solitarie / contro anomie e ingiustizie; / se non fosse per gli sguardi inarresi / le menti indocili, la fede / che spinge a cercare tra macerie / la piccola pepita del vero / che ci illumina e commuove, / cosa sarebbe la vita?». O, ancora, la speranza di una casa che da sempre ci aspetta:«Un mondo per te s’affaccia di nuovo / e tutto, tutto ogni volta / è un bacio di Dio sulla fronte».

È interessante notare poi l’uso frequente in vari testi della seconda persona singolare, ovvero un tu indefinito e multiplo, a indicare una sorta di interrogativo specchiarsi in altri, vale a dire una consapevolezza relazionale, che significa oltrepassare i confini incerti del proprio io per cercare un riconoscimento, una effettiva comunanza di intenti e di affetti, oppure – all’opposto – una netta e decisa presa di distanza da pratiche dominanti prive del minimo rispetto etico e sociale. Ed è in quest’ultimo caso che risuona l’allarme di Nuscis, un monito per non smarrire negli attuali tempi confusi e senza pace la nostra umanità e quei valori fondamentali di giustizia, di equità sociale, di condivisione e di convivenza civile senza i quali si spalanca il baratro dentro e fuori di noi («Non sarete voi a trattarla la pace / cari morti / ma i sopravvissuti, / compresi quelli / che la guerra hanno voluto / – statue con braccia conserte / in cima a dolorose macerie»).

C’è inoltre, in questa raccolta – come già evidenziato in precedenza – una componente più decisamente personale, più intima, rinvenibile nei testi riguardanti l’amore o le poesie dedicate ai figli, ai parenti o a chi non c’è più («Ecco, queste cose tenevo a dirti, / che lego con spago d’inchiostro / perché ti giungano, e da lì / magari possa sorriderne»), mentre nella quinta sezione è la stessa scrittura poetica a essere protagonista. E ancora una volta emerge la profonda sensibilità di Giovanni Nuscis: il mettere a fuoco immagini minute ma nitide da conservare nella memoria, sguardi, fotografie, scorci di paesaggio, semplici gesti, dettagli che improvvisamente spiccano nelle brevi descrizioni, insieme alla volontà di comprendere, di preservare una sorta di segreto da custodire nel cuore («Parole semplici coltivavamo / sogni leggeri /cuori aperti a confidenze / tradite qualche volta in allegria»).

E a tutto questo è da aggiungere il mistero della poesia, tra destino («Io non ti ho scelta / mi sei arrivata / perché potessi dare un nome / un suono, un senso alle cose») e imponderabilità della lingua, sempre in bilico tra espressione e sottrazione («Il nespolo mi guarda da oltre il vetro. / Sono attraversato da un verso / che non è quello che scrivo. / Stretto è questo rigo / per contenervi il tronco e la linfa»).

A ben vedere, anche in questo libro così variegato, ma non privo di rimandi interni e di inesausta ricerca, è – come nel precedente – il tempo a essere al centro della raccolta: un tempo da ricordare e da interrogare, affinché ciò che è stato una volta e ciò che è ora non sia vano, ma in qualche modo abbia valore di testimonianza per noi stessi e per chi verrà dopo di noi: un tepore che resta.

Mauro Germani

sabato 7 dicembre 2024

Filippo Ravizza - Pânzele orizontului - Le vele dell'orizzonte

 


Filippo Ravizza, Pănzele orizontului – Le vele dell’orizzonte, Cosmopoli, 2023

Leggendo Pânzele orizontului (Le vele dell’orizzonte) di Filippo Ravizza, che contiene quindici poesie tradotte in rumeno, con testo originale a fronte, selezionate da otto raccolte pubblicate dal 1987 al 2020, si ha la netta conferma della coerenza di un’opera poetica sviluppatasi nel corso di oltre un trentennio, vale a dire di un tenore della parola sempre alto, il quale si esplica nella dimensione fluida e avvolgente dei versi. È questa, infatti, la peculiarità che ha sempre contraddistinto, in modo assai originale, questa poesia di movimenti, di spezzature e di riprese repentine, di soprassalti improvvisi e di insistenti iterazioni, nell’elaborazione di una sonorità che conferisce alla parola un ritmo incalzante, emotivo e insieme materico.

C’è nei testi un impeto, una forza che rispecchia un’urgenza, un’oltranza dell’essere nel suo interrogarsi all’interno di una realtà concreta e mutevole, fragile e travagliata, dove il margine tra storia personale e/o collettiva appare al tempo stesso vibrante e assediato dal nulla, minacciato da un dissolvimento incombente. Così la coscienza del tempo – tema fondamentale in Ravizza, presente in tutte le raccolte, nelle sue diverse articolazioni, che spaziano dal contingente al filosofico e alla intuizione più propriamente poetica – getta inevitabilmente la propria ombra sul mondo che lo sguardo e la parola cercano di aprire in squarci come lampi, in ricordi fulminanti, in immagini rivelatrici di un futuro che sa già di passato, in slanci che nascondono tremori. 

Già nella prima pubblicazione (Le porte, 1987), il titolo emblematico indica lo spazio nel tempo, ovvero quei transiti, quegli attraversamenti di città, di paesaggi, di ponti, di fiumi, che saranno gli elementi caratterizzanti il viaggio umano e poetico di Ravizza. Un viaggio che è apertura ontologica ed esistenziale («riconosciti al di/là, sopra i /cancelli, mentre/fuori piove e/si acclama lucido,/il biancore»), dove spesso la vista diviene progressivamente visione e la visione pensiero, meditazione sul mistero e la precarietà dell’essere, dei segni e dei sogni della storia, tra echi talvolta campaniani (le già citate iterazioni, ma anche la forza delle immagini come impatti frontali in grado di rivelare altro) e riflessioni che rimandano a Leopardi (la «ricordanza acerba» dopo le speranze vane della giovinezza, e l’«apparir del vero»), o al montaliano «terrore di ubriaco».

Ricorrono poi sovente, nei testi presenti in questa piccola ma preziosa antologia bilingue, figure di bambini («Fermi nel canto/passavano i bambini/queste fili sottili/una forza come scaglie di fuoco/nel fondo del parco»), che con la spontanea vitalità che li contraddistingue suscitano, agli occhi del poeta, un misto di meraviglia e di malinconia: la loro naturale vivacità nel mondo si unisce all’amara consapevolezza della perdita nella corsa inarrestabile del tempo («e intanto scende, scende il sipario/anni che volate via lungo gli/scivoli, correndo alle altalene,/anni voi come attimi passate,/come onde bianche...anni/bambini che scappate»). Ecco allora che infanzia trascorsa, gioventù illusa o smarrita («in tutte le città Europa passano/di sera incerti poca luce negli occhi/i tuoi ragazzi, attori dei percorsi/trascinati di vetrina in vetrina») e sopraggiunta maturità («Così dicevo a me di me così/cantavo la perdita di me/con me chino sulla carta,/in mano la matita come una/vita giocata con la spada e/la nera ombra della mina») vengono assalite da un vortice che sconvolge l’esistenza, e al quale la parola della poesia cerca tenacemente di resistere, nonostante tutto. 

E proprio dentro questa resistenza – che si sa in fondo vana ma in qualche modo necessaria – è possibile cogliere in Ravizza una pietas che emerge quasi con pudore, un senso di appartenenza e di memoria relativo agli affetti, alle esperienze condivise, alle speranze e alle fragilità segnate dagli anni, una tenerezza sommessa pervasa da un senso di smarrimento, di addio («In questo abito chiamato tempo/tornare come da bambino sul/triciclo ripensare la via dal nome/imperatore i grissini amato/padre amata madre/ora finiti per sempre nel nulla»). Una pietas verso il proprio sé e gli altri, senza illusioni, che rivela però un amore profondo per la vita, una sorta di commosso abbraccio del divenire in cui tutti siamo gettati, un tremore in prossimità dell’ultimo orizzonte e delle vele lontane.

Mauro Germani



martedì 3 dicembre 2024

PRESENTAZIONE ALLA LIBRERIA POPOLARE DI VIA TADINO 18 MILANO



Presentazione Giovedì 5 DICEMBRE ore 18.30 alla Libreria Popolare di Via Tadino, 18 - Milano. Entrata dal portone di Via Tadino, 18. Se fosse chiuso, citofonare "Libreria Popolare".