Abbandonarsi all’abbandono e
non sentirsi più abbandonati: rendere grazie all’abbandono. Nonostante.
Ognuno di noi è una domanda di
sangue, un segno, una storia, un segreto, che chiede di essere rivelato.
Tutto ciò che ho scritto e che
scrivo è il tentativo di dire l’indicibile.
Miracolosamente, l’abitudine
al dubbio mi ha portato a dubitare anche di esso.
Questa libertà della caduta,
dell’essere ciechi e sordi… Come ho potuto tradire quella volta che un amore
mai provato mi abbracciò nel vuoto, potentissimo e dolce, e tremai,
inginocchiato nella preghiera? Ma una sera di lacrime mi attendeva, davanti ai
Santi Evangeli...
Un prodigio o un miracolo ci
fanno scoprire l’esistenza di una realtà più grande e più vera, quell’impossibilità che diviene possibile, che c’è, e ci
sconvolge.
Il silenzio di Dio ci parla
continuamente. È sempre qui, nel buio della
sua luce.
Da bambino lo intuivo, poi
l’ho dimenticato. Solo adesso ho capito che non v’è alcuna relazione tra
ragione e preghiera. Più un’orazione è per la mente assurda, più è autentica,
perché proviene dall’anima.
Oh, grandezza della Chiesa
invisibile, della comunione di anime mosse dalla preghiera, dalle lacrime e
dall’attesa!
Il male che preme, che sale
dall’anima fino alla carne. Il male che è sangue versato dalla disperazione.
Una condanna. Un abisso, che solo una Grazia superiore può colmare.
Il corpo è come il mondo.
Entrambi sono destinati ad essere lasciati.
Li sento. Alcuni morti mi
passano accanto. Invisibili e lievi, chiamano senza parole, forse cercano di
dire il mistero della loro eterna fanciullezza.
Durante la notte, da sdraiati –
cioè nella posizione dei morti – possiamo avere, ad occhi aperti, nel buio, visioni
e sensazioni altrimenti improbabili. Poi, il mattino seguente, ricordiamo che
dobbiamo dimenticare.
L’altro volto che siamo,
l’altra anima che abbiamo, l’altra verità che sapremo: Videmus nunc per speculum in aenigmate: tunc autem facie ad faciem.
Nunc cognosco ex parte: tunc autem cognoscam sicut et cognitus sum. (San
Paolo, I Corinzi, XIII, 12)
Ecco, l’assenza s’è incarnata,
è divenuta per noi corpo e sangue – l’unico corpo
e l’unico sangue. È il morto ed il
risorto.
Tutto avviene tramite il dolore: nascita, vita e morte ne sono profondamente segnate. Senza di esso nessuna liberazione è possibile.
Da kronos a kairòs. Enigma
del tempo. Cammino o salto verso
quella spoliazione di sé, che è – paradossalmente – pienezza, promessa che
attende e ci attende. Il passaggio è la nostra via crucis.
Ogni anima è macchiata dal sangue, è segnata dal tormento e dal dilemma: il nulla e il tutto di Dio, la fine e il futuro
dell’origine.