venerdì 19 settembre 2025

Corrado Bagnoli - L'ultimo ring

 

Corrado Bagnoli, L’ultimo ring, Edizioni Ares, 2024

Narrare l’epica del quotidiano, la tenacia del fare, la volontà di credere nella vita, di non sciuparla, di starci dentro nonostante le fatiche e le difficoltà, grazie al proprio lavoro, all’onestà e alla caparbietà di gesti e sguardi veri, di sentimenti autentici, netti. Tutto questo (e altro) è presente nel romanzo di Corrado Bagnoli L’ultimo ring – tratto dal poema, dello stesso autore, Fuori i secondi (La Vita Felice, 2005) e necessariamente ampliato con altri personaggi – nel quale è protagonista Augusto, promettente pugile nella Brianza degli anni Cinquanta, con un’infanzia povera alle spalle e nel cuore il desiderio di lottare costantemente per il proprio futuro.

Egli sperimenta che la vita non è come sul ring, dove «ci sali soltanto quando sei pronto e ti sei preparato e lo sai cosa ti aspetta. Sai che puoi vincere o perdere. Ma non ci sono magie. I colpi bassi e segreti sono vietati». Nell’esistenza di ogni giorno, invece, non ci sono pause, non c’è un gong, non c’è un arbitro che ti separa dagli avversari, ma un fuori i secondi continuo, in cui devi essere pronto con le tue mosse, le tue scelte. Il rito del pugilato porta a confrontarsi con lo strano e misterioso rito della vita, come un ring dentro un altro ring, dove un’etica è necessaria, insieme al rispetto delle regole («Dentro un ring o fuori non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra» afferma una delle quattro citazioni di Muhammad Alì poste all’inizio di ogni capitolo). 

E Augusto questa lezione la impara a poco a poco, crescendo, tra le bravate di quando era ragazzo e i «colpi bassi» dell’esistenza: il padre, «uomo mite e sbagliato», spesso assente, il collegio «dei poveri e dei matti», i lutti improvvisi (la morte del padre, il suicidio dell’amico Eugenio, la scomparsa per un incidente del fratello Edoardo), ma oltre a ciò anche la gioia delle esperienze positive (le vittorie sul ring, le amicizie). Egli a volte appare spavaldo, persino esagerato nelle sue manifestazioni, ma la sua è una fame di vita che rivela sempre un cuore buono, com’è il suo sguardo. Fondamentale sarà l’amore per Maria, dagli «occhi neri, bui come la notte delle sue colline», che egli sposerà e da cui avrà tre figli, in uno dei quali, Enrico, possiamo riconoscere l’autore.

Una storia, la loro, fatta di sogni e di sacrifici (Augusto da giovane alternerà il pugilato con il duro e terribile lavoro al macello, poi insieme alla moglie aprirà un negozio di salumi), un’unione forte, capace di infondere a entrambi il coraggio di rialzarsi dopo ogni caduta o imprevisto, di ricominciare, di mettersi alla prova, di trasformare le inevitabili avversità in nuove speranze, in tappe da raggiungere. Così Augusto imparerà l’importanza della fedeltà non solo verso i propri sentimenti, ma soprattutto nei confronti degli altri, in quanto nella vita non si può solo prendere, ma occorre anche «un dare, un custodire e un restituire».

In lui possiamo cogliere, nel corso della vicenda, un’interezza che colpisce, che non è rigidità o egoismo, ma al contrario un’apertura responsabile nei confronti dell’esistenza, la volontà di assumersi ogni volta il rischio delle scelte da compiere, con coraggio e determinazione, senza barare. Con la consapevolezza che la vita eccede sempre, e stupisce nel bene e nel male, ribalta le nostre aspettative e ne crea altre, in un movimento continuo che sorprende, al di là delle apparenze, nel quale uno sbaglio o una sconfitta si possono anche rivelare l’opposto, cioè il punto da cui ripartire, e diventare una rinascita in grado di affrontare nuove prove. Ed è proprio questo che egli, insieme a Maria, riesce ad apprendere: è la formazione di un alunno che a poco a poco, con gli anni, diviene maestro, ma un maestro silenzioso, ormai con i capelli bianchi, di poche parole e di gesti concreti per i suoi figli, debole e forte al tempo stesso, ora «che la guardia l’abbassa, che le braccia le allarga e abbraccia la vita. Tutta quella che viene. Ogni volta che viene».

Sono queste le parole di chi narra e s’interroga sulla lezione di Augusto e di Maria, una lezione da custodire e da tramandare. L’autore, infatti, interviene a un certo punto del romanzo, con brevi corsivi di grande intensità, per esprimere i propri sentimenti e le proprie riflessioni nei confronti della storia dei suoi genitori, con l’intento di carpirne il segreto. Non un personaggio, dunque, ma la persona narrante, che chiama le parole e nelle parole cerca la vita propria e altrui: un’operazione schietta e sincera, che non è e non vuole essere un colpo di scena, ma che scaturisce dalla volontà di attribuire una responsabilità alla scrittura: «I giorni a venire sono lenti, guardati da lontano. Ancora più lenti vissuti minuto per minuto. Eppure, dentro questo apparente non accadere, accadono le cose. Nella ripetizione dei gesti, nell’impalpabile crescere dei figli, nella fatica e nel silenzio ogni giorno uguali e diversi. Così accadono le cose ad Augusto. Agli uomini tutti. A Maria. A Enrico: a me che racconto». Ecco, dunque, che l’epica celebrata in questo romanzo di formazione è quella della lotta quotidiana di ogni essere umano, che è simile agli altri, ma al contempo unico e irripetibile nella singolarità della sua persona, del suo carattere e delle sue convinzioni.

Corrado Bagnoli narra la vicenda in modo asciutto e incisivo, lontano da compiacimenti letterari di sorta, ma al contempo con una prosa intrisa di poesia, attenta alla verità delle cose, cioè ai particolari che rivelano un’anima, una forma del sentire, un esserci dei personaggi, mediante periodi brevi, scanditi da un ritmo incalzante assai efficace. Per questo i fatti qui narrati non sono solo la cronaca degli eventi, ma qualcosa di più grande, qualcosa che chiama una verità che li racchiude e li oltrepassa. Perché la scrittura di Bagnoli non è uno dei tanti, inutili esercizi di stile, a cui oggi spesso assistiamo, ma un modo di incarnare la realtà, di dare alla parola la concretezza dell’esistenza.

Mauro Germani