martedì 20 aprile 2021

Giovanni Papini - Lo specchio che fugge

Giovanni Papini, Lo specchio che fugge, Franco Maria Ricci editore, 1975

Nell’introduzione a questa straordinaria raccolta di racconti, pubblicata nel 1975 nella prestigiosa collana “La biblioteca di Babele” edita da Franco Maria Ricci, Borges scrive: «Sospetto che Papini sia stato immeritatamente dimenticato». Così è, infatti. Del controverso, tormentato e prolifico autore fiorentino oggi non si parla più, forse perché la sua opera investe tanto profondamente l’esistenza da risultare troppo scomoda ed impegnativa, troppo intransigente e contraddittoria al tempo stesso, per nulla innocua. E questo, naturalmente, è un vero peccato, perché Papini (1881-1956) fu, nel nostro Novecento, uno degli ultimi scrittori posseduti ed anomali, i cui libri sono la testimonianza di un’inquietudine continua, di una ricerca che – se talvolta può apparire sopra le righe, o vòlta esageratamente alla polemica, all’aggressione ed allo scandalo, e per questo facile preda di abbagli e di clamorosi errori, pentimenti e conversioni – non può certo essere disconosciuta nel suo autentico furore originario.

Lo specchio che fugge fa parte della produzione del primo Papini e raccoglie dieci, brevi racconti d’impronta fantastica, i cui personaggi si possono intendere, come suggerisce Borges, quali molteplici proiezioni dell’io dell’autore. Non si può non rimanere colpiti dalla genialità inventiva, dalla scrittura al tempo stesso leggera ed incisiva, dal senso di perturbamento che si rinnova ad ogni pagina, insieme a soprassalti ed angosce, interrogativi e paradossi, verità sconcertanti e misteri. L’abilità di Papini nel trattare in modo originale i temi del tempo, della morte, del sogno e dell’identità nei vari brani è davvero sorprendente: le atmosfere dei racconti ci catturano da una dimensione altra, capace di rivelare, per enigma, i disagi e gli abissi dell’esistenza. È questo il Papini che precede la conversione, che sarà annunciata con la pubblicazione della Storia di Cristo (1921). Le novelle sono pertanto da collocare nel periodo della cosiddetta fame buia – come venne definito dallo scrittore – cioè nei tempi di una irrequietezza dello spirito che appare senza sosta, alla continua ricerca di una risposta che non c’è. E ciò che unisce i vari testi è proprio il senso del mistero e l’impossibilità di cogliere la realtà vera nel suo complesso, in quanto risulta sempre sfuggente e molteplice.

Vale la pena accennare a ciascuno dei piccoli capolavori che compongono la raccolta.

Due immagini in una vasca è un apologo sul tema del doppio e del tempo, in cui l’io presente uccide l’io passato perché non lo riconosce più, ma esso rimane come fantasma insopprimibile.

Storia completamente assurda è un racconto sull’incapacità di accettare il resoconto dettagliato di ciò che abbiamo vissuto, la verità completa dei nostri pensieri e delle nostre azioni: una giustificazione della finzione e dell’oblio per evitare lo spavento dell’esistenza.

Una morte mentale narra di un suicidio continuamente meditato e anomalo, un annientamento interiore e progressivo che con la forza della volontà giunge al suo tragico (e liberatorio) compimento.

Nel racconto L’ultima visita del Gentiluomo Malato l’unica verità del mondo e di ogni essere umano sembra essere la tragica inconsistenza del sogno. Emblematiche le parole del gentiluomo: «Io non sono un uomo reale, non sono un uomo come gli altri, un uomo di ossa e di muscoli, un uomo generato da uomini. Non sono nato come i vostri compagni; nessuno mi ha cullato e ha spiato il mio crescere. Io sono – e voglio dirlo – nient’altro che la figura di un sogno».

Il desiderio di non essere più se stessi, con il proprio corpo e la propria anima, è al centro di Non voglio più essere quello che sono e adombra inaspettatamente una trasfigurazione, un passaggio che sembra compiersi senza una vera percezione.

Chi sei? propone un’interruzione, un intervallo di mistero e di solitudine, che improvvisamente sconvolgono la vita del protagonista, la cui identità sembra perdersi nel nulla.

Nel racconto Il mendicante di anime vi è la scoperta, da parte del narratore, dell’esistenza del cosiddetto Uomo Comune, «pauroso e terribile nella incoscienza della sua incolore felicità».

Il suicida sostituto è la storia folle e paradossale di un uomo che a trentatré anni decide di uccidersi al posto dell’io narrante che non osa farlo e che egli vuole salvare da una vita vuota, inutile e senza più alcuna ambizione.

Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, l’esistenza è intesa come attesa continua di qualcosa che s’allontana sempre più, di un futuro che in realtà non esiste come futuro, ma come creazione e parte del presente.

Il giorno non restituito narra di un sortilegio basato sul prendere e concedere in prestito il tempo, ovvero gli anni della gioventù, per allontanare l’angoscia della morte, mediante un contratto destinato ad una fine imprevedibile.

Da leggere assolutamente (o da rileggere), queste storie di Papini sono la conferma (oggi ahimè poco condivisa) del valore che può assumere il racconto breve fantastico, o visionario, o immaginifico che dir si voglia, se scritto da un autore davvero valido, ed essere così una narrazione capace di sorprenderci e di interpellarci su quanto di misterioso e di inquietante fa parte della nostra esistenza.

Mauro Germani