lunedì 25 luglio 2022

Nicola Lisi - Diario di un parroco di campagna

 



Che effetto leggere oggi il Diario di un parroco di campagna di Nicola Lisi (1893-1975), autore ingiustamente dimenticato del nostro Novecento! Si entra in un mondo scomparso, in quella grazia citata alla fine dal curato di Ambricourt nel ben più noto romanzo di Bernanos dallo stesso titolo. Se però in quest’ultimo (scritto nel 1936, ma pubblicato in Italia nel 1945) prevale spesso il tormento, e l’assedio del male non dà tregua, nel libro di Lisi (uscito da Vallecchi nel 1942) è possibile cogliere il candore di una meraviglia continua, lo sguardo umile della creatura verso il mistero della creazione di cui fa parte, nella consapevolezza di vivere un dono che è compito dell’anima custodire. 
Don Antonio, l’anziano parroco di campagna, annota nel proprio diario la sua particolare attenzione nei confronti del mondo naturale, che gli si presenta come manifestazione di un disegno ben più vasto, di una volontà che insieme lo comprende e lo trascende. C’è in lui una sapienza religiosa e popolare che non viene mai meno: non solo accettazione di una volontà superiore ma anche fiducia nella preghiera e nella Provvidenza. Egli è un’anima semplice, non superficiale, una sorta di fanciullo invecchiato, ricco della propria esperienza interiore e di vita e, al tempo stesso, aperto al mistero e allo stupore. Il suo diario, suddiviso in tre parti, corrispondenti a tre anni denominati Anno del freddo, Anno dei pellegrini, Anno dei fiori, è per noi una testimonianza di una cura e di un’umiltà che non possono non sorprenderci, in quanto espressioni di una saggezza e di una forza che oggi sembrano irrimediabilmente perdute. 
Del resto, il parroco di Lisi rispecchia proprio il mondo amato dall’autore toscano (era nato a Scarperia, nel Mugello), presente in tutti i suoi libri in svariate forme, dal dialogo teatrale (L’acqua, 1928; La via della Croce, 1953), alla favola (Favole, 1933; Il seme della saggezza, 1967), al racconto (I racconti, 1961), alla prosa autobiografica (Parlata dalla finestra di casa, 1973). Nella sua opera la realtà contadina non è mai chiusa in sé stessa, ma è sempre specchio del cielo, delle stagioni che scandiscono i tempi della vita, in una specie di calendario terrestre e spirituale. Non a caso, Nicola Lisi, già nel 1923, insieme a Piero Bargellini e Carlo Betocchi (autori cattolici come lui, con i quali condivise l’avventura della rivista mensile “Il Frontespizio”) diede alle stampe il Calendario dei pensieri e delle pratiche solari, un almanacco di racconti, aforismi e apologhi con l’intento di un’adesione alla vita naturale non separata dalla verità della Provvidenza. 
Sarebbe tuttavia sbagliato sostenere che in Lisi il male sia completamente assente: esso è tentazione e peccato, separazione, allontanamento dal divino, ma non incombe in modo drammatico e lacerante come in Bernanos. Carlo Bo, giustamente, ebbe modo di sottolineare che «Lisi è passato indenne fra disastri e disperazioni e non già perché non ne avvertisse la presenza, ma perché si teneva ben fermo a quella geometria dell’anima con cui ha costruito la stessa lettura del mondo». 
Nel Diario di un parroco di campagna il vento, le nuvole, gli animali, le piante, il passaggio delle stagioni sono tutt’uno con le speranze o le disgrazie degli uomini, le loro paure o le loro infermità, in un andamento corale e insieme sommesso, che viene registrato sulla pagina con rispetto e partecipazione, delineando così un vero e proprio paese dell'anima, come s'intitola un'altra sua opera del 1934. Non solo. Affiora sovente un mistero buono, una grazia, appunto, che soccorre l’anziano parroco nei momenti di difficoltà e lo prepara ad accettare serenamente il destino che lo attende. Una lezione per lui e per noi, oggi.
Mauro Germani