In questo secondo romanzo di
Lia Maselli (il primo è stato Le case dei
venti contrari, edito da Formebrevi nel 2016), la narrazione,
nell’alternanza di piani temporali diversi, è volutamente instabile e
frammentaria, perché specchio dell’io narrante, una donna che si cerca negli
altri, soprattutto nel rapporto con la madre lontana e il suo passato.
La scrittura assume spesso
valenze poetiche, specialmente laddove lo sguardo si fa obliquo, come in certe
descrizioni di ambienti, personaggi e situazioni attente ai dettagli marginali,
eppure capaci, tra una dissolvenza e l’altra, di cogliere il reale nella sua
intima essenza. La sensazione che si prova è quella di assistere a un film
continuamente spezzato nella sua continuità, grazie a un montaggio da nouvelle vague, allusivo ed evocativo.
La ricerca di identità e di
appartenenza di chi narra confligge sovente con un’ambiguità di fondo, nella
quale i fotogrammi perduti e ritrovati del passato e della memoria sono invasi
da ombre e segnati da reticenze. Le storie cercate e raccontate, in uno scavo
di domande e di indagini ora sommesse, ora trepidanti, ora ossessive, pesano come
colpe antiche, come mali mai del tutto sopiti, come segreti mantenuti negli
anni. È un lungo contagio con cui non
è facile fare i conti perché sempre in bilico tra la realtà e il suo fantasma,
tra la volontà di sapere e di conoscere e i dilemmi e le paure che, in modo più
o meno conscio, agitano il presente.
Sulla figura della madre e
sulla sua storia si proietta inevitabilmente il non-detto dell’esperienza
vissuta dell’io narrante, in un continuo approssimarsi che spesso pare
rivelarsi solo apparente. La madre è la vita incarnata, l’enigma del passato e
del presente, ma anche la tenacia di un quotidiano rituale che resiste, come un
mondo dentro il mondo.
Quanto durerà l’onda lunga del
contagio?
La conclusione del romanzo
coincide con una morte, quella del padre della donna, fino a quel momento
amorevolmente accudito nella malattia dalla madre. L’ultima immagine è un mare
calmo dopo la burrasca: una fine che è anche una liberazione al termine della
sofferenza. È questa un’altra tappa importante nei sentimenti e nella memoria.
E certamente, per chi narra (e per il lettore), un’altra ineludibile domanda.
Mauro Germani