sabato 7 novembre 2020

LA CITAZIONE (n. 23) - Pier Paolo Pasolini


 

Riapparizione poetica di Roma


Dio, cos’è quella coltre silenziosa

che fiammeggia sopra l’orizzonte…

quel nevaio di muffa – rosa

di sangue – qui, da sotto i monti

fino alle cieche increspature del mare…

quella cavalcata di fiamme sepolte

nella nebbia, che fa sembrare il piano

da Vetralla al Circeo, una palude

africana, che esali in un mortale

arancio… È velame di sbadiglianti, sudice

foschie, attorcigliate in pallide

vene, divampanti righe,

gangli in fiamme: là dove le valli

dell’Appennino sboccano tra dighe

di cielo, sull’Agro vaporoso

e il mare: ma, quasi arche o spighe

sul mare, sul nero mare granuloso,

la Sardegna o la Catalogna,

da secoli bruciate in un grandioso

incendio, sull’acqua, che le sogna

più che specchiarle, scivolando,

sembrano giunte a rovesciare ogni

loro legame ancora ridente, ogni candido

bracere di città o capanna divorata

dal fuoco, a smorire in queste lande

di nubi sopra il Lazio.

Ma tutto ormai è fumo, e stupiresti

se, dentro quel rudere d’incendio,

sentissi richiami di freschi

bambini, tra le stalle, o stupendi

colpi di campana, di fattoria

in fattoria, lungo i saliscendi

desolati, che già intravedi dalla Via

Salaria – come sospesa in cielo –

lungo quel fuoco di malinconia

perduto in un gigantesco sfacelo.

Ché ormai la sua furia, scolorando, come

dissanguata, dà più ansia al mistero,

dove, sotto quei ròsi polveroni

fiammeggianti, quasi un’empirea coltre,

cova Roma gli invisibili rioni.


da Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, Garzanti, 1961


A proposito di Pasolini, è possibile leggere su questo blog una nota critica relativa a L'usignolo della Chiesa CattolicaQUI