Antonin Artaud, Il Pesa-Nervi. Frammenti di un diario infernale. Saggio introduttivo, Lettera ad Artaud e traduzione di Carmelo Claudio Pistillo, La Vita Felice, 2023
Questa
pubblicazione del Pèse-Nerfs (1927) e
dei Fragments d’un journal d’enfer di
Antonin Artaud (1896-1948), a cura di Carmelo Claudio Pistilllo – che firma
l’ampio saggio introduttivo, una lettera ad Artaud e la traduzione – è da non
perdere per vari motivi. Innanzitutto perché di queste due opere giovanili di
Artaud quasi nessuno si è mai finora occupato, e poi perché l’introduzione di
Carmelo Claudio Pistillo risulta davvero illuminante per comprendere la vita e
l’opera di Artaud, forse l’autore più estremo e tormentato del Novecento, la
cui esistenza drammatica appare inscindibile dalla sua produzione multiforme e
febbrile. Quest’ultima appare segnata da un desiderio incessante e
insopprimibile di raggiungere un’espressività incarnata, una dimensione non
cartacea o letteraria della parola, ma capace al contrario di dire la vita, di
esserci, fino al sacrificio di sé, fino a divenire silenzio nella sua contesa
con l’impossibile, con l’inafferrabile.
E proprio la consapevolezza della frattura abissale tra pensiero e linguaggio spingerà
Artaud a cercare risposte oltre il cosiddetto dicibile, al di là della
scrittura comunemente intesa e del teatro occidentale, fondato sulla
ripetizione inutile di una parola immobile. La sua sarà una lotta tremenda
contro tutto ciò che non scuote il corpo e lo spirito, contro il risaputo, il
già visto, il già sentito, e alla fine contro la letteratura e lo stile, verso
cui non può che provare orrore.
Dall’originario
conflitto corpo-mente, passando attraverso la permanenza presso la tribù dei
Tarahumara, indios dediti a strani riti e all’uso di peytol, pianta dagli
effetti allucinogeni, al cosiddetto «teatro della crudeltà» del 1938 (il quale
vuole essere «la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile», come scrisse
Deridda), Artaud viene sempre più attratto e tentato dall’impossibile, da una
ricerca che sfida il limite, la ragione e la stessa scrittura, in un
annientamento totale del pensiero compiuto e del senso. Ed è interessante
notare come già nel Pèse-Nerfs troviamo
la seguente affermazione: «Tutta la scrittura è uno schifo. Tutte le persone
che fuggono dal vago per definire quel che accade nel loro pensiero, sono
schifose. Tutta la stirpe dei letterati è schifosa, specialmente nel nostro
tempo». Sembra esserci un’anticipazione di ciò che avverrà negli ultimi anni di
vita dell’autore, quando farà del corpo uno strumento di ribellione, mediante
l’uso delle glossolalie, fino al delirio dell’indicibile e dei rumori
corporali.
Il Pèse-Nerfs – «una
specie di stazione indecifrabile e completamente eretta in mezzo allo spirito»,
secondo la dichiarazione dell’autore – è un’opera frammentaria, spezzata,
magmatica, percorsa da lampi in mezzo alle tenebre e al dolore («Sono un abisso
totale»), che divengono paradossi, capovolgimenti di senso, pulsioni, confessioni,
espropriazioni di sé, ma è anche, al tempo stesso, una testimonianza drammatica
contenente i prodromi di ciò che sarà la vita e l’opera complessiva di Artaud.
Anche
i Fragments costituiscono una prova evidente dei conflitti di Artaud («È il confltto tra la mia abilità interiore e la
difficoltà a esprimerla che crea il momento in cui muoio»), del suo
spossessamento e della battaglia che combatte con ciò che potremmo definire la parola del suo sottosuolo.
Le tappe
della sua dolorosa vicenda esistenziale («questo dolore conficcato in me come
un cuneo», scrive ancora nei Fragments),
che lo vedrà più volte ricoverato in
istituti psichiatrici, tra cui quello di Rodez, nel quale subirà ben
cinquantuno elettroshock, costellano, come una sorta di disperata via crucis,
l’attività di Artaud, che rappresenta sicuramente un unicum artistico,
sfuggente a qualsiasi definizione, come peraltro egli stesso desiderava. Forse,
però, pare lecito azzardare che, nonostante tutto, cioè nonostante il nulla,
Artaud sia stato un uomo divorato dall’assoluto e dalla vita, anche nella
negazione, nel rifiuto e nella bestemmia. Certo è che la sua esistenza e la sua
opera non possono alla fine non interrogarci sul misterioso rapporto
arte-follia, a cui Karl Jaspers dedicò in Genio
e follia un ampio studio. Senza entrare nello specifico, possiamo
aggiungere semplicemente che talvolta le possibilità
dell’arte in genere e le possibilità
della follia si incontrano, restando indissolubilmente ed enigmaticamente
legate tra loro, in quanto possibilità
dell’esistenza stessa.
Mauro Germani