lunedì 6 febbraio 2023

Domenico Notari - 9, la rabbia del rivale

 


Domenico Notari, 9, La rabbia del rivale, Castelvecchi 2018

C’è una doppia narrazione nel romanzo di Domenico Notari 9, La rabbia del rivale: quella della seconda metà del Settecento e quella degli anni Settanta del Novecento, che – come in un gioco di specchi – si riflettono fino a confluire magicamente una nell’altra, aldilà di ogni barriera temporale. Grazie alla mirabile fluidità della scrittura e alla sapiente struttura del romanzo, i personaggi sono destinati a incontrarsi, in un confronto che per il lettore vuol dire curiosità e partecipazione, pagina dopo pagina. 

La storia dell’architetto settecentesco Mario Gioffredo e del suo nemico Luigi Vanvitelli, a cui è ingiustamente attribuito il progetto della reggia di Caserta, si unisce a quella del giovane Silvestro Donnarumma, assistente universitario nella Napoli del 1976. Quest’ultimo, infatti, decide di partecipare al concorso per assistente ordinario presso la Facoltà di Architettura, ma i suoi studi e le sue ricerche intorno alla misteriosa sparizione dei disegni del «perdente» Gioffredo – di cui intende rivalutare l’opera, ricordando le parole di Elio Vittorini, secondo cui «gli uomini restano inappagati e invendicati, se qualcuno non li trasforma in memoria» – suscitano le ire del professor Scarpati, accademico santoficcóne (con «la sua giacca di tweed, un paio di pantaloni di velluto e un paio di polacchine accordati ai colori dell’autunno»), tipico esponente di un periodo fortemente ideologizzato e infestato dagli atteggiamenti alla moda e opportunisti di certi intellettuali.  Così le falsità, le ambizioni e le rivalità dell’ambiente universitario (si veda la figura del fàuzo Egidio Di Salvo, collega di Donnarumma, con il suo «sguardo borioso e pavone, i baffetti distesi e priàti» e la sua Montblanc Boheme che sprigiona «lampi preziosi»), si sovrappongono, nel clima di violenza estremista del tempo, alle passioni, alla sete di gloria, alla corruzione e alla slealtà dei tempi di Carlo di Borbone e di Ferdinando IV. 

Notari è molto bravo nel delineare con efficacia, e spesso con ironia, i caratteri dei personaggi, e nel descrivere i vari ambienti della vicenda. Con taglio che si potrebbe definire cinematografico (perché, infatti, non trarre un film, da questo romanzo?), i vari scenari ci vengono incontro con la naturalezza delle luci, dei colori e delle situazioni che li animano: piazze, vie o viuzze, case popolari o palazzi, porti trafficati o marine solitarie, volti o corpi, cibi esposti o cucinati risaltano sulla pagina con grande vividezza, e sempre a sottendere l’anima dei personaggi, la loro ansia o la loro malinconia, la loro rabbia o la loro ipocrisia, la loro solitudine o il loro desiderio d’amore (come la tenera Teresella, moglie di Gioffredo, «esperta di piccole e domestiche magie»). Ecco allora la Napoli che palpita, che freme, che sogna, ma anche quella della corruzione, dei troppi padroni stranieri, la Napoli che per Gioffredo è simile a «una donna formosa e seducente pronta ad andare con tutti». È la città che Donnarumma  scopre con le sue ricerche e i suoi studi, ma che in fondo sente ancora attuale. E come non pensare, anche noi, alle invidie, alle gelosie, alla smania del successo, ai favoritismi e alle consorterie di ogni genere, che ancora oggi imperversano in vari ambiti? O alle mode culturali, di cui sono espressione sedicenti artisti o intellettuali? 

Il romanzo di Domenico Notari si rivela un’opera dinamica e vivace, ma al tempo stesso composita e stratificata, caratterizzata da una suspense crescente, che deriva dall’astuto piano di vendetta che il giovane Donnarumma, cane sciolto non intrappolato in schematismi ideologici, elabora nei confronti del professor Scarpati e del suo collega Egidio Di Salvo: sono pagine che si leggono con il fiato sospeso e che riservano non poche sorprese. Inoltre le espressioni gergali e dialettali, disseminate nel testo, non appesantiscono mai la narrazione, anzi la rendono mobile, realistica, ricca di sfumature, all’interno di una cornice storica ben curata e precisa, che certamente deve aver richiesto all’autore lo studio scrupoloso e attento di un’ampia documentazione.

Mauro Germani