C’è come un se sottinteso in questo ultimo libro di poesie di Luca Lanfredi, dove ciò che è ipotetico assume una dimensione ambigua, doppia, di realtà e di irrealtà insieme. Un se che irrompe nel quotidiano e nella parola, tra pensiero, volontà e immaginazione, per colmare una perdita e pronunciare una richiesta d’appello ai bordi dell’impossibile («Si può parlare adesso e non sei qui»). Un se che vive in un desiderio di tregua, di cammino nuovo insieme a chi non c’è più, nel movimento dell’esistenza, la quale è comunque altro e di più rispetto alla scrittura («da un lato chi scrive, dall’altro / la vita che, in ogni caso, è / un rigo nero nel tempo»). Un se che è un’ipotesi di vita ulteriore, un ritorno di frasi, di respiri, di atti in una prospettiva di memoria, che cerca una comprensione, un’appartenenza, una condivisione («Abbandonare qualcuno, / poi ritrovare qualcuno»).
Ed è proprio il desiderio di ritrovare, di rivivere per
vivere, che affiora dai versi di Luca Lanfredi. Perché la coscienza di ciò che è perduto risale dai giorni, dai
gesti, dagli incontri, come un rimpianto, o un rimorso mai sopito («Provare un
senso di colpa / verso i morti. Come una carta / da pacco che si lacera, / come
uno scoppio, o un istante / che implora»), o come un’esigenza di rinnovamento
(«Lambirsi, conoscere, trovare un / nuovo volto al breve movimento / che segue
la partenza»).
In
questa oscillazione temporale, in questa discrasia dell’esistenza troviamo
allora la vibrante essenza della poesia di Lanfredi, con il suo trascolorare di
piccoli eventi, di frasi appena sussurrate, di indizi che raccontano un
ossimoro, un’assenza sempre presente, oppure una presenza sempre assente. La
realtà accaduta trasforma la realtà che accade, e viceversa, ma non per un gioco poetico, per un illusionismo di
carta, ma per un impulso esistenziale, «oltre la gentilezza della pena».
Rispetto
alle prove poetiche precedenti, si ravvisa qui la volontà, da parte
dell’autore, di cercare una via, oltre la solitudine o lo smarrimento, nella
consapevolezza che – come afferma una voce –
«“Passo dopo passo avremo allora / un luogo che ci insegue / e ognuno
uno sguardo capiente / per includere il proprio destino”». E c’è soprattutto il
riconoscimento sommesso di un debito nei confronti di chi è scomparso (il libro
è dedicato al padre), insieme alla comprensione del valore del silenzio
(«Tacere è come l’arte del sorriso») e alla convinzione che la vera poesia non
è mai esibita, ma è nascosta nel segreto dell’ esistenza («E vorrei poterti
dire: chi non scrive / è un poeta»).
L’andamento
dei testi è dato da una serie di dissolvenze incrociate, di rapide sequenze di
ambienti, di paesaggi, di voci, come in un film il cui montaggio ribalta continuamente
i piani temporali e i punti di vista. Ecco allora piccoli ma improvvisi
movimenti, lacerti di dialoghi, congedi che paiono ritorni, domande che
sembrano risposte, intenzioni immaginate o ritrovate, ricordi come promesse
(«Dovresti avere nel sogno un cammino / come un cuore di vento che
moltiplica»), fino alla poesia che conclude la raccolta in modo nitido e
sorprendente, con la memoria che riporta la figura del padre che, affacciato
alla finestra, dona «il pane /
sorridente / verso la buona fame degli uccelli».
E
forse questa gratuità che vuole saziare un bisogno innocente può gettare una
luce, a ritroso, su tutti i testi precedenti. Il se sottinteso a cui si
accennava all’inizio si può allora comprendere come l’ipotesi di una
disciplina, un’eredità da custodire e da rigenerare, pur nella «realtà del
vuoto», perché ogni volta il bene è nuovo.
Mauro Germani