giovedì 12 gennaio 2023

Fulvio Panzeri - I luoghi dell'anima. In viaggio con i grandi scrittori


Fulvio Panzeri, I luoghi dell'anima. In viaggio con i grandi scrittori, Interlinea 2022 (prima edizione 2000)

«Non è lo scrittore a cercare il luogo, ma è questo stesso a rivelarsi ai suoi occhi appunto come occasione di grazia». Queste parole di Fulvio Panzeri (scomparso nel 2021, autore di notevoli contributi critici riguardanti Pasolini, Tondelli e Testori; a proposito di quest'ultimo è da segnalare Vita di Testori, edito da Longanesi nel 2003, nonché la curatela dell'opera completa per Bompiani, in due volumi, rispettivamente usciti nel 1996 e nel 1997) bene descrivono nel  libro da lui curato I luoghi dell’anima. In viaggio con i grandi scrittori (Interlinea, 2022; prima edizione 2000), che cosa intendesse per letteratura da viaggio: la testimonianza di un incontro, di una scoperta, di un’intima rivelazione. E il volume suddetto, comprendente testi di trenta autori, scrittori e poeti, con un’introduzione (nella seconda edizione) di Alessandro Zaccuri, conferma questa caratteristica fondamentale. Ogni autore, infatti – consapevole di vivere qualcosa di unico e di irripetibile – affida alla scrittura il compito di custodire quella speciale esperienza dell’anima offerta dai luoghi visitati. Non è possibile qui soffermarsi su tutti i brani dell’antologia, tratti spesso da volumi poco conosciuti e contraddistinti da una straordinaria varietà di riflessioni e di emozioni, tuttavia vale la pena accennare, per la loro particolarità, alle pagine di Carlo Betocchi, Dino Buzzati, Giorgio Caproni, Charles Dickensn, Henry James, Julien Green, Mario Soldati e Giovanni Testori. 

Betocchi, nel suo testo, estrapolato da Confessioni minori (Sansoni, Firenze 1985), afferma limpidamente che «quel che sappiamo fare è nostra grazia: si tratta di impiegarla al suo fine, in questo deserto d’ostacoli aguzzi che è il mondo». E nell’osservare una cava rievoca, in modo sorprendente, la figura di Rimbaud, insieme ad alcuni versi di Una stagione all’inferno, che definisce «di squillante fame spirituale». 

Buzzati, inviato speciale in India per conto del “Corriere della Sera”, al seguito dello storico viaggio di Paolo VI, si chiede come sia stato possibile che un’incredibile folla di un milione di persone, di cui solo una minima parte cattolica, abbia potuto accogliere così festosamente il papa. Forse, scrive, la risposta è nello «straordinario fondo di spiritualità» del popolo indiano, il quale mostra «una grande  reverenza e ammirazione per i grandi maestri dello spirito». Inoltre si domanda come abbiano fatto tutte quelle persone, soprattutto povere, prive di radio e  non abituate a leggere i giornali, a venire a conoscenza dell’avvenimento. E annota: «Che senza sapere bene cosa sia il cristianesimo, abbiano intuito che da qualche parte può venire una speranza terrena finora ad essi negata proprio dalle loro convinzioni religiose?». 

Particolarmente sentita risulta la testimonianza di Giorgio Caproni, in visita nel 1948, insieme ad altri uomini di cultura provenienti da tutto il mondo, al campo di sterminio di Auschwitz. Il poeta prova un amaro senso di inadeguatezza e scrive: «Dio mi aiuti, in questo mio povero diario a posteriori, dove ci vorrebbe il fiato di un genio per rappresentare al giusto la follia d’un intero popolo. Anzi, la nostra umana follia, ahimè». 

L’amore per Venezia è invece ciò che accomuna Charles Dickens e Henry James. Il primo definisce la città un «posto da sogno, stupendo, immateriale, impossibile, perverso, irreale», e resta incantato davanti alla «perfezione» di dipinti come L’Assunzione della Vergine di Tiziano e Il Paradiso di Tintoretto, quest’ultimo con «tutte le linee magistralmente e rispettosamente convergenti verso la Maestà di Dio». Il secondo celebra Venezia come suo «luogo dell’anima» e come «la più bella città del mondo», nonostante la sua mutevolezza e la presenza dei turisti: «È vivace o depressa, pallida o infuocata, grigia o rosa, fredda o calda, colorita o esangue, a seconda del tempo e dell’ora». 

Julien Green, in visita a Tubingen, immagina Hölderlin, durante gli ultimi anni della sua vita, nella stanza rotonda della torre, e gli appare come un «bambino di genio che scopre la bellezza del mondo dietro le finestre di una prigione». Proprio per questo, il luogo si rivela, agli occhi dello scrittore francese, misteriosamente doloroso, «dove l’anima prigioniera batte le ali e si manifesta nell’invisibile e nella solitudine». 

Una speciale avventura interiore ce la offre Mario Soldati: il suono delle campane di Sondrio («una specie di ampio, solenne carillon»), riporta lo scrittore al suono di quelle della Valsolda, che udiva svegliandosi la mattina, quand’era giovane. È l’occasione per chiedersi se «la fede sussiste solo come dolore o, tutt’al più, come dubbio, come speranza». Insieme all’eco delle campane, gli pare che qualcosa tremi  «come l’approssimarsi di un’impossibile rivelazione finale»; per lui la conclusione è che «la coscienza del mistero è la nostra unica certezza». 

Di grande spessore è il brano di Giovanni Testori, tratto da Ennio Morlotti. Teschi (Edizioni Bambaia, Busto Arsizio 1978), in cui lo scrittore ricorda la cappella dei Morti di Valmorana, tra i boschi di castani, dove era collocato un antico teschio, davanti al quale, quand’era bambino, recitava un “requiem” insieme alla madre. E annota, mirabilmente: «Le stagioni, i mesi, i giorni; le mattine, le sere; e, in essi, uno per uno, gli attimi, i baleni; gli affetti, gli amori, gli spasimi, i segreti, i deliri, tutto ciò che ci prese e ci infiammò, tutto ciò che ci prende e ci infiamma, lo sappiamo e lo sentiamo benissimo, ha sotto le sue luci, sotto i suoi colori, sotto le sue polpe, un teschio». 

Questi sono, ovviamente, solo alcuni accenni relativi a ciò che questa pubblicazione, nella sua ricchezza e varietà, offre. Il viaggio in compagnia degli scrittori e dei poeti antologizzati (oltre a quelli citati, Auden, Coccioli, Guardini, Hesse, Marin, Mazzolari, Piovene, Rebora, Rilke, Volponi e altri ancora), che si sono lasciati sorprendere e catturare dai luoghi incontrati, non può che continuare nelle pagine del libro medesimo.

Mauro Germani