Angelo Mundula, Il Cantiere e altri luoghi (Poesie
2000-2005), Carlo Delfino Editore, 2006.
È
questa l’ultima raccolta poetica di Angelo Mundula (1934-2015), un autore
«fuori da clamori ed eccentricità» – come ebbe modo di scrivere Giuliano
Gramigna –, la cui opera in versi (fu anche critico e collaboratore di
importanti quotidiani e riviste) è contrassegnata da una religiosità, che si
manifesta in una continua tensione dal
tempo all’eterno (per citare il titolo di una silloge del 1979, edita da
Spirali).
La
scrittura di Mundula sorprende per la sua cristallina purezza, capace di
rivelare in se stessa vibrazioni e profondità che colpiscono la nostra anima.
Domande, soprassalti dello spirito, smarrimenti ed invocazioni si alternano e/o
si compenetrano senza soluzione di continuità, in un flusso poetico nel quale
la parola appare alla ricerca costante di una dimensione ulteriore, cioè di una
verità che sia sempre più vicina al mistero dell’esistenza.
Vi è la consapevolezza di una parola «sospesa», «in bilico», che «potrebbe cadere inabissarsi / come stella o come stella / risplendere nel verso»; una parola che nasce da noi e dunque limitata, pur nella sua possibile umana grandezza. Fino a che punto, allora, può arrivare la scrittura poetica?
È
interessante aggiungere come qualcosa di non detto, di inesprimibile rimanga
comunque, per Mundula, al di là di ogni opera: si veda il testo Ciò che Dante non ha scritto, in cui si
fa riferimento «all’altro universo mai del tutto finito / al grande libro mai
del tutto scritto». Questa incompiutezza, tuttavia, non significa rassegnazione
o quiete, ma al contrario impulso a cogliere, in una tensione estrema e al
tempo stesso umile, ciò che si agita dentro e fuori di noi: le parole vanno
gettate «sulla pagina aperta come su un / campo da coltivare», in attesa di un
senso, dentro «lo scavo, le crepe / le carte incerte ferite», «nel magma
ribollente della terra».
C’è
una richiesta incessante nella poesia di Mundula, che è, in fondo, preghiera,
riconoscimento della fragilità dell’uomo e dei suoi limiti, coscienza della
nostra cecità davanti all’evidenza dell’inspiegabile,
nel quale risiede «tutto il sale della vita», tanto che, paradossalmente, «il
nostro vero approdo è il naufragio».
Il
desiderio di pienezza e di luce scaturisce proprio dalla consapevolezza delle
nostre mancanze, del nostro essere bisognosi d’altro, in quanto circondati da un «innominabile buio», nel quale
rischiamo di perderci. Così esigenza etica ed urgente bisogno di rinascita
spirituale non possono che unirsi davanti ad una civiltà – la nostra – che appare smarrita,
prigioniera di un cieco e falso progresso: «Sbanda da ogni parte la barca del
secolo / s’ignora dove sia il timoniere se vi sia / corrente se qualcuno ne
segua il filo».
Sondare
lo stato della condizione umana è certamente uno degli scopi della poesia di
Mundula, evidenziandone anche, nel medesimo tempo, la complessità, mediante una
dimensione simbolica e metafisica, che è rinvenibile in diversi componimenti.
Esemplare
è, in questo senso, la poesia Stazioni
(«Da quanto siamo qui / in questa sala d’attesa / in cui tutti aspettiamo il
nostro treno / la salita la discesa / nel nostro binario?»), dove domande senza risposta si succedono insieme
ad un sentimento di attesa e di mistero, in una sorta di gioco di specchi che
pare confondere chi scende e chi sale da questi treni della vita. E, del resto,
come si dice in Qualcosa di noi: «È
sempre così difficile scoprire il nostro segreto / sapere qualcosa di noi del
nostro viaggio».
Ma
è soprattutto l’immagine del Cantiere a configurarsi come luogo centrale, reale e metafisico ad un tempo, dell’intera
raccolta: un luogo originario, d’infanzia e di nostalgia, di eterno ritorno e
di memoria, di iniziazione e di poesia; un luogo, ancora, in cui misurare la
propria vita e chiedere anche perdono per gli errori commessi. Il Cantiere
navale dismesso di Porto Torres – in cui il poeta ha abitato da bambino e da
ragazzo con la sua famiglia – è stato per lui «incudine e martello / isola e
mare, una volta per sempre»: lì hanno preso vita i sogni («grandi navi e viaggi
per mare»), i progetti e «gli alti approdi», che a volte sembrano, con
l’avanzare degli anni, impossibili, anche se in fondo non si è spento il
desiderio «di preparare l’evento di una nave / che da lì prenda il mare e vada
/ luminosa e grande per i porti del mondo».
Concludendo,
la lettura di questo libro può essere considerata l’ultima, sincera confessione
e dichiarazione di poetica di un autore appartato ed originale, che ha sempre
rivelato – come si afferma nella nota in quarta di copertina – la «caratura
spirituale e morale» della sua poesia.
Una segnalazione importante: il sito, curato da
Giovanni Nuscis, interamente dedicato ad Angelo Mundula, con sezioni
riguardanti la biografia del poeta, le opere, i saggi, gli articoli su
quotidiani e riviste, le recensioni e le lettere. QUI
Mauro Germani