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Sono qui, sono sempre stati qui, i posseduti nella carne e oltre la carne – prima dell’eterno distacco, qui, nelle loro putrefazioni e negli osanna, coi loro occhi morti o levàti al cielo, miserabili dentro bocche di fango, oppure santi rapiti dalla preghiera, midolli di verbi che senza saperlo s’incontrano e si cercano in danze di sangue, coi loro arti amputati, a balzi, a saltelli, a sputi, nei visi bianchi o di fiamma, nei vortici del tempo, tutti insieme nella morte, eppure in attesa dell’ultimo rantolo, senza più ragione, senza più cervello, finalmente, perché chiamati ad altro, chiamati da sempre, dal primo vagito all’abbandono finale – poeti bui e senza voce baciati dal nero e colpiti all’improvviso come da un dolce assassino, e poi, all’opposto, spiriti d’infanzia e di luce, certezze di bontà dentro il mistero del male nel mondo – affossati, tutti, uno dopo l'altro, con le loro carcasse immonde, senza più i petti d’un tempo, i palpiti, la giovinezza, gli amori –
Sono qui, sono sempre stati qui, i posseduti dalle loro tremende parole, reiterate fino al paradosso e alla follia, cercate e amate dentro l’ossessione del nulla che divora la carne fino agli ultimi brandelli, simili ad avanzi di macelleria, oppure tutti coloro che sanno la bellezza e l’indicibilità delle preghiere più vere insieme a ogni santo martirio per Cristo, con Cristo e in Cristo, sempre sangue su sangue in ambedue i casi, sempre dolore – ecco – per ogni cellula corporale, per arrivare allo scoppio, alla resa, a quella carne così fredda e bianca come una luna morta… Oh, è questo, è questo che hanno cantato e cantano i posseduti, i senza speranza e i suicidi, i mistici e gli innamorati di Dio –; questo che sprofonda o innalza e urla nel silenzio e non ha pace, e condanna e benedice, mentre restano vaganti le opere di chi si è affidato alla scrittura, sì, i personaggi, i fantasmi, i profughi delle loro parole, dentro gli antichi miti fino a oggi, per i pochi che li vogliono accogliere, Achille, Ulisse, Enea, senza fissa dimora nei secoli – potremmo dire – in un luogo senza luogo, che tutto contiene, pare senza distinzioni, la selva oscura e il viaggio abissale e celeste, K che viene sgozzato come un cane, e il principe Saurau travolto dalla follia, e Drogo che scruta il deserto, e Hans Castorp nel sanatorio di Davos, e Meursault estraneo a sé stesso, e Antoine Roquentin disgustato dall’esistenza, e lo scrivano Bartleby che abdica al mondo e alle parole, e Ferdinand Bardamu nel disastro della realtà, e Donissan che lotta con Satana, e Mouchette assalita dal male, e il curato d’Ambricourt nella solitudine della sua parrocchia, e Clotilde luminosa nella povertà e nel dolore, e Marchenoir innamorato del Medioevo, e poi Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, e Amleto, Re Lear, il principe Myškin, e Stavrogin, e Nechljudov, e i sei personaggi senza pace e senza teatro, e gli Scarozzanti con le loro voci strozzate da altre voci, e ancora, ancora – (ma quanti, Dio mio, quanti!... usciti dalle anime a frotte, a stormi, nei cieli invisibili della storia, come uccelli liberati improvvisamente dalle gabbie, ciechi dopo tanto buio, e abbagliati, e perduti!...) – fino a quando il mondo sarà, prima dell’altro tempo –; tutto questo, ecco, alla ricerca del proprio segreto senza saperlo, oppure come atto di fede e invocazione nella preghiera, sì, sempre dall’ultima ora e dalla carne sfinita – la nostra, che adesso è qui e che domani lasceremo alla terra – nella speranza e nell’attesa di un’altra luce, di una nuova carità, della pace e del perdono…
Mauro Germani