Gabriela Fantato, Terra magra, Il Convivio Editore, 2023
C’è un patto che custodiscono le poesie di quest’ultima raccolta di Gabriela Fantato: quello della voce (anzi, delle voci) e della memoria, della dedizione alla fragilità del nostro essere nel mondo e alla pietas nei confronti di ogni ferita e di ogni congedo. Con una scrittura limpida e mai ridondante, eppure ricca di risonanze, di palpiti interni, di folgorazioni del pensiero che fanno vibrare i testi nei loro preziosi corsivi come voci dentro la voce, Gabriela Fantato ci consegna un’opera che sa del nostro tempo «pieno di buchi», sospeso tra il mai e il sempre, e dove «la vita cerca / il confine e il centro». Ed è questa una ricerca ininterrotta, che si può cogliere di verso in verso, ora con affanno, ora con trepidazione, ora con la consapevolezza di un compito che non deve essere tradito. Se la terra è il nostro fondamento e appare magra o precipitata «sotto un cielo basso», è anche vero che invoca un’appartenenza, qualcosa di antico e sacro, un legame originario da tramandare per esserci davvero, qui, dove «tutto è partenza».
Il tema della perdita («siamo creature – in perdita»), che ricorre in molti testi, non è soltanto quello del lutto, ma anche dell’infanzia, del tempo lontano che non è più ma che ha lasciato la sua traccia misteriosa dentro di noi: si veda la poesia intitolata Seconda elementare, in cui «ancora qualcuno cerca / il nome, il suo nome», cioè la propria enigmatica identità, oppure un’antica preghiera magari dimenticata «senza neppure dire – addio», ma alla fine, come qualcosa di indelebile e magico, «resta il ricordo di quel / disegno intero, / un cerchio fatto con il gesso, in seconda elementare». Come a dire che la perdita non si esaurisce mai in sé stessa, perché «la memoria sale svelta, sale lassù / sino al soffitto. / Sale, corre veloce e inventa / un altro suono alle parole», come si afferma nella sezione Del sempre e del mai, dedicata al padre scomparso, nella quale troviamo altri bellissimi versi:« È questa l’onda, questo / – il respiro / che lega tutta una generazione, questa la nostra storia semplice, / scritta dentro le ossa», o ancora: «Eri la mia terra, / un ordine esatto dentro la natura». Qui la figura del padre è tutt’uno con il respiro della terra, «tra Goro e le tre foci del Po / dove il mare è farsi anguilla»», nella semplicità segnata «dalla devozione alla fatica» e dove restano le cose a lui appartenute: la matita, gli occhiali rigati, il sorriso fragile. È questo il legame con l’origine, la terra di un sempre che è stato nostro, «la casa dove / tornare ogni sera / e l’ultima che verrà».
C’è dunque, per Gabriela Fantato, una continuità da ricercare costantemente, pur nella solitudine e nei tanti congedi dell’esistenza, che sovente diventano ritorni, o rivelano improvvisamente i legami segreti del tempo e del sangue, come tagli in un calendario segnato dall’assenza e dall’addio, «una legge muta che unisce i figli e ci fa / – padri e madri / nel nostro gran passare». Ne sono testimonianza le poesie dedicate ai figli, tra cui Nascita II, nella quale, grazie alla «meticolosa cura alla vita» viene affermata la possibilità d’imparare i nomi da dare alle cose.
Nell’ultima sezione della raccolta, intitolata Qualunque cosa succeda, il senso di appartenenza più volte evocato e sentito come dedizione e compito, viene assediato dalla solitudine e dal tragico periodo del lockdown, dove tutto diventa «un perimetro minuscolo», «le strade adesso sono / una crepa tra oggi e la memoria» e «non si trova / la ferita aperta nella bocca, / il silenzio è intimato», mentre si aspetta «una carezza che ci salva». Emblematico il testo finale, dal quale emerge la forza della speranza e del sogno, capace di trasformare la vita in un volo che sconfigge la solitudine: «Vieni, sono qui, / nella fragilità dei giorni, / insieme saremo mille occhi, / un bosco dentro i passi / e i racconti / salvati dal crollo». È quell’esigenza di «un balzo», già evocato in precedenza, per affrontare la vita e dirla e sentirla in un altro modo, in una cantilena, in un linguaggio diverso, come una storia a cui credere ogni giorno, anche se siamo «frammenti che solo i santi / sanno vedere».
Dobbiamo essere grati a Gabriela Fantato
per questo suo libro: una raccolta destinata a restare, una prova alta e sobria al tempo
stesso, una testimonianza poetica (ed etica) di cui sentivamo il bisogno.
Mauro Germani