L’Altrove che è in noi
Non c’è niente di innocuo o di rassicurante in questi racconti brevi, fulminei e fulminanti, di Rinaldo Caddeo. Con la sua scrittura di sorprese e di agguati, di enigmi e di incubi, ma al tempo stesso lieve e rapida, in linea con le Lezioni americane di Italo Calvino, egli ci consegna una narrazione che disorienta, mina ogni previsione, allarma, apre precipizi, capovolge le aspettative, si arresta in una sospensione enigmatica oltre la quale sembra profilarsi un inizio indicibile.
Proprio il contrasto tra la leggerezza del come ed il turbamento provocato dal che cosa, nonché la brevità del racconto, creano in chi legge uno stato continuo di allerta, una tensione che non viene mai meno e che alimenta la curiosità e l’impulso a non interrompere la lettura, semmai a tornare indietro, a rileggere per cogliere meglio quelle causalità fantastiche che agiscono nei testi e li rendono sorprendenti. Perché è chiaro che Caddeo si muove all’interno di uno spazio letterario, oggi così poco praticato in Italia, in cui il cosiddetto “fantastico” – coi suoi correlati, quali il paradosso, l’insolito, l’incubo, il perturbante – irrompe improvvisamente nell’esistenza dei personaggi per attestare la propria realtà dimenticata, il suo esserci, la sua presenza dentro di noi. E quando si manifesta, tutto cambia, tutto vacilla. I confini tra ciò che è e ciò che appare si confondono. I luoghi assumono sembianze nuove, possono diventare labirinti o mete misteriose ed irraggiungibili. L’io non si sente più padrone di sé. Lo spazio ed il tempo vengono sconvolti. Nulla è come sembra e talvolta ciò che è sembra o diventa nulla.
Nei racconti di Caddeo i protagonisti hanno nomi bizzarri, non vengono descritti fisicamente, potrebbero essere tutti e nessuno, ma vengono colti in momenti particolari, decisivi. Come se provenissero da altre storie rimaste a metà – forse perché impersonali e senza rilievo – essi sono ora chiamati a vivere ciò che mai si sarebbero aspettati. Ed eccoli, allora, smarriti, in balìa di eventi improvvisi, fuori da ogni logica normale e quotidiana, senza più riparo, assaliti da forze incontrollabili, che forse derivano proprio da loro stessi, dopo essere rimaste sopite per molto tempo. Qualcosa li muta, qualcosa li invade, come l’incendio del Preludio: «un incendio senza fiamma, che prende forma senza un motivo, scoppia senza un innesco o un carburante», proviene dal buio della terra, «arriva e svanisce ma non si spegne», non risparmiando nulla, cancellando la memoria e lasciando solo paura e dolore, come un virus che brucia il corpo e l’anima.
Nella sezione intitolata La minaccia, i personaggi appaiono vittime di un che di innominabile, il quale però, a ben vedere, sembra essere la trasfigurazione delle nostre angosce collettive. Come non riconoscersi, ad esempio, nelle paure di cataclismi e disastri incombenti, nell’assalto di corpi osceni e nudi che ci travolgono, nella scoperta che la realtà è altra da ciò che pensiamo, nella fuoriuscita dalle acque di esseri affamati e disperati, a cui non diamo da mangiare per il timore che possano avere il sopravvento e sostituirsi a noi?
Così, nelle sezioni successive, troviamo in situazioni a volte paradossali, o allegoriche od oniriche, la narrazione di vicende percepite con l’occhio disincantato (e talvolta anche un poco divertito) di chi pare conoscerne i segreti, ma non intende svelarli completamente, perché sa in questo modo – e a ragione – di centrare il bersaglio. In altri termini, il non detto risulta essere qui parte integrante della fabula e dell’intreccio, proprio come l’oscuro o il rimosso sono dentro di noi. È, in un certo senso, un gioco crudele, che prende forma dalle aspettative, dalle ansie, dalle fobie, dai disagi, dalle mancanze, dai sogni, dai desideri nascosti che affollano la nostra esistenza. E queste molteplici sfaccettature le troviamo, in modo più o meno sotterraneo, nei vari racconti che compongono la raccolta: esse sono presenti in specifici luoghi, muovono ricerche e fughe, abitano la scuola, occupano la storia e il mito, s’impossessano di creature, si manifestano in circostanze diffuse – come indicato dai titoli delle parti in cui il libro è suddiviso.
Tra i luoghi più emblematici la montagna e il laggiù, entrambi situati ai limiti dell’ignoto, sospesi in una dimensione che affascina e spaventa, tra sogno e realtà, tra dicibile e indicibile, tanto che il primo viene negato da tutti ed il secondo pare sfuggire ad ogni definizione, essere oltre, aldilà: il desiderio di ciò che è ulteriore e segreto inevitabilmente si manifesta, ma sembra scontrarsi qui con un’impossibilità, o perché viene represso, o perché travalica ogni parola ed ogni pensiero.
Se da un lato l’incubo è ricorrente nei racconti di Caddeo, insieme ad una realtà metamorfica e sovente minacciosa, dall’altro si assiste anche in alcuni testi alla liberazione dal peso dell’esistenza. È il caso, ad esempio, di Un soffio leggero, nel quale un ascensore molto particolare, che il protagonista scopre pieno di oggetti della propria vita, continua a salire, fino ad arrivare al cielo dove tutto svanisce e resta «soltanto il vento, un soffio leggero».
Altri racconti che vale la pena di citare, per la loro freschezza inventiva e la capacità di catturare chi legge, sono: Eco, in cui la morte è la scoperta della propria inconsistenza in un mondo identico al nostro; Un calcio, che è la descrizione di una catastrofe progressiva provocata da un gesto apparentemente innocuo; Vestiti, cioè la perdita della volontà causata dagli abiti indossati; Rumore, ovvero la percezione di un insopportabile frastuono che è tutto interiore; Una bambina, moderna fiaba sul trascorrere degli anni e sul recupero dei sogni perduti, nonché della propria anima; Scavi, la rivelazione di un tempo senza barriere, che è insieme rinascita e morte.
Rinaldo Caddeo conferma, con questi nuovi racconti, la facoltà di farci comprendere l’inevitabilità delle sue storie e delle sue invenzioni, come fossero le conseguenze della nostra esistenza. Esse sono ammonimenti, presagi, pericoli, paure, sogni segreti, che ci abitano inconsapevolmente e di cui dovremmo tener conto. Leggendole, proviamo sconcerto, rimaniamo spiazzati, ma al tempo stesso scopriamo che sono anche nostre, che i loro enigmi non sono semplicemente “fantastici”, ma risiedono nella nostra anima e non smettono di interrogarci. Perché provengono misteriosamente dall’Altrove che è in noi.
Mauro
Germani
(postfazione al volume)