lunedì 17 maggio 2021

"La parola e l'abbandono": alcune riflessioni a due anni dalla pubblicazione

Che dire oggi del mio libro La parola e l’abbandono, pubblicato nel 2019? Esso raccoglie pensieri e aforismi scritti nell’arco di parecchi anni ed è pertanto la testimonianza di un lungo periodo contrassegnato da un senso di profondo smarrimento esistenziale,  da un’incapacità di trovare una direzione verso una meta desiderata ma percepita come irraggiungibile o addirittura inesistente.

Proprio da questa specie di selva oscura, da questa notte interiore, sono nate le mie riflessioni. Una zona estrema, dunque, dove i sentieri che l’attraversano sono insicuri e inaffidabili, e anche i pensieri ritornano sovente su sé stessi, come prigionieri della loro solitudine e del loro abisso. Ciò che vi domina è la disperazione dell’abbandono, quella di chi si sente gettato nell’incomprensibilità dell'esistenza, anche se talvolta affiora il vago rimpianto per un passato lontano diverso, non privo di momenti magici e irripetibili. E la mia produzione poetica, a partire soprattutto da Livorno (2008), per poi proseguire in Terra estrema (2011), fino a Voce interrotta (2016) non ha potuto che rispecchiare questa condizione di disagio esistenziale.

Rileggere adesso i miei scritti è un’operazione di memoria e di consapevolezza, è rivedermi in quella solitudine senza scampo, con quell’ultimo sguardo dentro la notte, incerto di tutto, ma al tempo stesso sospeso in un’attesa trepidante. Sì, perché nel tormento e nell’abbandono, il sentimento dell’attendere non si è mai spento del tutto in me, nonostante il che cosa o il chi fosse indefinibile, come una specie di destino segreto, un richiamo dell’ombra, della morte, del nulla, o quant’altro. In parecchi dei miei versi c’è un desiderio di sparizione, di annullamento, che si può anche interpretare come la volontà di accedere ao un’altra, misteriosa, indicibile dimensione.

A ben vedere, questa natura religiosa della mia scrittura – sia pure in forma ineffabile o negativa – è sempre stata presente, magari con intensità e accezioni diverse, accompagnata cioè da una sensazione di condanna, di liberazione, o di speranza a seconda dei momenti particolari che ho vissuto. Perché ogni libro pubblicato è in fondo la tappa di un percorso esistenziale, fa parte del movimento della vita stessa, con le sue contraddizioni, i precipizi improvvisi, ma anche le impensate risalite e le provvidenziali conversioni. Nulla è fermo, nulla è definitivo.

La parola e l’abbandono riporta alcuni pensieri che oggi non scriverei più. Non solo, ciò che complessivamente emerge dal libro lo sento adesso superato, anche se qua e là si possono cogliere le avvisaglie o i segni di un cambiamento desiderato, di una nostalgia d’innocenza e di purezza, di percezione estatica della realtà, che rimandano a certi momenti dell’infanzia. E devo dire che qualche lettore attento ha colto questi indizi, questi trasalimenti dell’anima in cerca di un’altra luce.

Aggiungo una notazione paradossale. Il titolo attribuito ai miei aforismi mi va benissimo ancora oggi, perché l’abbandono non significa solamente l’essere abbandonato (com’è nella corretta interpretazione relativa al libro), ma anche l’atto di abbandonarsi a qualcosa o a qualcuno. La sensazione dell’essere abbandonato, infatti, non è più mia, pur nella consapevolezza che la notte interiore è sempre a un passo, sempre in agguato. Ora sono passato da un abbandono a un altro.

Mauro Germani