Che dire
oggi del mio libro La parola e l’abbandono,
pubblicato nel 2019? Esso raccoglie pensieri e aforismi scritti nell’arco di
parecchi anni ed è pertanto la testimonianza di un lungo periodo contrassegnato
da un senso di profondo smarrimento esistenziale,
da un’incapacità di trovare una direzione verso una meta desiderata ma percepita
come irraggiungibile o addirittura inesistente.
Proprio
da questa specie di selva oscura, da questa notte interiore, sono nate le mie riflessioni. Una zona estrema, dunque, dove i sentieri che
l’attraversano sono insicuri e inaffidabili, e anche i pensieri ritornano
sovente su sé stessi, come prigionieri della loro solitudine e del loro abisso. Ciò che vi domina è la disperazione dell’abbandono,
quella di chi si sente gettato nell’incomprensibilità dell'esistenza, anche se talvolta affiora il vago rimpianto per un passato lontano diverso, non privo di momenti
magici e irripetibili. E la mia produzione poetica, a partire soprattutto da Livorno (2008), per poi proseguire in Terra estrema (2011), fino a Voce interrotta (2016) non ha potuto che rispecchiare questa condizione
di disagio esistenziale.
Rileggere
adesso i miei scritti è un’operazione di memoria e di consapevolezza, è
rivedermi in quella solitudine senza scampo, con quell’ultimo sguardo dentro la notte, incerto di tutto, ma al tempo
stesso sospeso in un’attesa trepidante. Sì, perché nel tormento e
nell’abbandono, il sentimento dell’attendere non si è mai spento del tutto in
me, nonostante il che cosa o il chi fosse indefinibile, come una specie
di destino segreto, un richiamo dell’ombra, della morte, del nulla, o
quant’altro. In parecchi dei miei versi c’è un desiderio di sparizione, di
annullamento, che si può anche interpretare come la volontà di accedere ao un’altra, misteriosa, indicibile dimensione.
A ben
vedere, questa natura religiosa della
mia scrittura – sia pure in forma ineffabile o negativa – è sempre stata
presente, magari con intensità e accezioni diverse, accompagnata cioè da una
sensazione di condanna, di liberazione, o di speranza a seconda dei momenti particolari che ho vissuto. Perché ogni
libro pubblicato è in fondo la tappa di un percorso esistenziale, fa parte del
movimento della vita stessa, con le sue contraddizioni, i precipizi improvvisi,
ma anche le impensate risalite e le provvidenziali conversioni. Nulla è fermo,
nulla è definitivo.
La parola e l’abbandono riporta alcuni
pensieri che oggi non scriverei più. Non solo, ciò che complessivamente emerge
dal libro lo sento adesso superato,
anche se qua e là si possono cogliere le avvisaglie o i segni di un cambiamento desiderato, di
una nostalgia d’innocenza e di purezza, di percezione estatica della realtà,
che rimandano a certi momenti dell’infanzia. E devo dire che qualche lettore
attento ha colto questi indizi, questi trasalimenti dell’anima in cerca di
un’altra luce.
Aggiungo
una notazione paradossale. Il titolo attribuito ai miei aforismi mi va
benissimo ancora oggi, perché l’abbandono
non significa solamente l’essere
abbandonato (com’è nella corretta interpretazione relativa al libro), ma
anche l’atto di abbandonarsi a qualcosa o
a qualcuno. La sensazione dell’essere abbandonato, infatti, non è più mia, pur nella consapevolezza che la notte interiore è sempre a un passo, sempre in agguato. Ora sono passato da un abbandono a un altro.
Mauro
Germani