In Cuore di tenebra, lo straordinario romanzo di Joseph Conrad (1857- 1924), la voce narrante del capitano
Marlow conduce i suoi ascoltatori e noi lettori in una vera e propria discesa
agli inferi, in un luogo che pare oltrepassare i limiti del dicibile, o
comunque configurarsi in una zona che si sottrae alla coscienza per inabissarsi
nel baratro oscuro del rimosso. Si tratta del racconto di un viaggio
sconvolgente e rivelatore insieme, tanto che la parola spesso vacilla, resta
sospesa, e denuncia la propria debolezza davanti al mistero e alla crudeltà
dell’esistenza. La risalita del fiume Congo è un addentrarsi progressivo verso
qualcosa che sfugge e che spaventa, che attrae e che stordisce, una traversata
nel buio e nel primordiale, un ricongiungimento con il sangue antico, con le
ombre terribili e dimenticate di tutti noi. Gli interrogativi che questa storia
pone riguardano non solo i fondamenti e le contraddizioni della nostra civiltà
europea, cioè la ferocia del colonialismo e l’iniquità del cosiddetto
darwinismo sociale, che si espressero nella corsa alla spartizione dell’Africa
da parte delle maggiori potenze europee tra Ottocento e Novecento, ma anche la
dimensione inquietante del male che si annida nei nostri cuori.
Al
termine della vicenda di Marlow c’è Kurtz, personaggio centrale del romanzo,
figura inquietante a cui tutto rimanda, avvolta dalle tenebre del proprio
delirio di onnipotenza, specchio dell’innominabile lato oscuro dell’animo
umano. Kurtz sembra incarnare una malattia
originaria, qualcosa che eccede e sconvolge, che supera ogni limite
temporale, pur rimanendo nella nostra storia. La sua duplicità è il suo fascino
terribile, a cui nessuno – nemmeno Marlow – resiste. L’indubbia intelligenza di
Kurtz, al servizio del potere e della crudeltà, ha un che di diabolico e di
ancestrale, ma al contempo è dentro la
storia, è quell’economia del profitto
e del male che a più riprese l’Occidente ha abbracciato, ammantandola di
discorsi menzogneri in nome della cultura, della civiltà e del benessere. Non è
tanto azzardato sostenere che in Kurtz e in ciò che egli rappresenta e provoca
ci sono già i prodromi delle catastrofi del Novecento, l’anticipo dell’umano
annientamento perpetrato dalla shoah e dalla ferocia razionalizzata ed organizzata di altri terribili regimi
dittatoriali, quali ad esempio lo stalinismo. Kurtz è contaminato e contamina.
Il suo posto di comando, nascosto e sperduto nel centro dell’Africa, è il luogo
di un orrore occulto che è nel cuore
e che nel mondo trova espressione e giustificazione: è questo che sconcerta,
che non si vuole sentire e che risulta essere sempre in difetto nel racconto di
Marlow ai suoi compagni. Egli stesso esita nella narrazione. Egli stesso non vuole
credere fino in fondo all’esperienza eccezionale e tremenda che ha vissuto. Ha
visto le teste impalate in quel regno buio, l’enorme quantità di avorio
accumulato, l’adorazione e la paura degli indigeni verso un uomo trasformato in
idolo. Ha udito la voce di Kurtz, malato ma straordinariamente potente, consapevole
d’essere sulla soglia di un confine estremo, lucido e delirante nel medesimo
tempo, e ne ha subìto il fascino. La verità agghiacciante è che quella tenebra presente nel cuore di Kurtz è in
parte anche nel suo cuore. Al cospetto della follia di chi ha creato un potere
disumano, basato sul terrore e sullo sfruttamento in nome di una presunta
superiorità civile e di razza, non
riesce ad opporsi in modo netto, preferendo un’ambiguità di comodo. Non a caso
Marlow, al ritorno dal suo viaggio, non rivelerà nulla alla fidanzata di Kurtz,
la quale rimarrà nell’illusione di avere amato un uomo davvero grande e dal
cuore nobile, un uomo che, prima di morire, ha avuto l’ultima parola per lei.
La
menzogna di Marlow nasconde così quell’orrore
che lo stesso Kurtz mascherava con la propria voce e la propria eloquenza,
quell’orrore che ancora oggi non si è
estinto e che spesso viene rimosso perché troppo imbarazzante, o che si cela in
forme diverse, apparentemente innocue. Qui. Dentro di noi e attorno a noi.
Mauro
Germani