Alexander Lernet-Holenia, Il barone Bagge, Adelphi, 1982
Una
sospensione tra la vita e la morte, un interregno di cui non si è consapevoli,
ma destinato poi a divenire una segreta rivelazione. In questo mirabile
racconto di Alexander Lernet-Holenia
(1897-1976), pubblicato per la prima volta nel 1936, il lettore – al pari del protagonista, il
barone Bagge del titolo – si trova, pagina dopo pagina, in una zona in cui
tutto vacilla, tutto appare e scompare, come in un sogno che annuncia un
pericolo invisibile ma imminente.
L’atmosfera
della storia – ambientata durante il primo conflitto mondiale, ma che ben
presto si configura al di là di una dimensione temporale precisa, per assumere
un valore altro, metafisico – avvolge
i personaggi come un manto di nebbia, un alone di un mistero imperscrutabile
che è destino e domanda, sguardo nel vuoto e ricerca di senso. Tutti qui sono
fantasmi in una guerra fantasma. Tutti vagano in territori che sembrano in
procinto di dissolversi, oppure che sono ormai disabitati perché qualcuno è
fuggito. Tutti sono ai limiti dell’ignoto, e le loro stesse azioni non sembrano
avere una ragione plausibile, come se fossero mossi da ossessioni segrete, da
qualcosa d’innominabile che li assale costantemente. Stupende sono le
descrizioni dello squadrone austriaco che procede sul fronte orientale come
fosse una soglia estrema, un punto di non ritorno, un’avventura che pare non
avere più alcuna direzione, ma che attende da un momento all’altro una
rivelazione. Ciò che il protagonista sperimenta è la dissoluzione delle proprie
ragioni, del proprio pensiero, perché è sospinto da una forza invisibile che lo
domina. Il barone Bagge, infatti, non è consapevole di ciò che in realtà gli è
accaduto e gli sta accadendo: non sa, ma crede
di, si trova in un equivoco.
Eppure dentro questo equivoco c’è qualcosa che lo supera e lo contraddice,
qualcosa che alla fine lo segna, un’esperienza
che non è il nulla, ma il contatto con una dimensione che non può essere
rinnegata. Non siamo qui ai confini dell’ignoto, ma dentro l’ignoto. L’irrealtà
ha, in questo breve romanzo di Lernet-Holenia, una straordinaria potenza,
superiore a quella della cosiddetta realtà. E tutti i personaggi che ruotano
attorno al barone Bagge sono portatori di qualcosa che al tempo stesso sfugge e
ferisce, lasciando al loro cospetto un’impronta indelebile. Tra questi la
figura dell’impenetrabile e imprevedibile comandante Semler, «sul suo grosso
mezzosangue, un sauro scuro, il bavero di pelliccia rialzato con la catenella
d’oro intrecciata sopra», che conduce lo squadrone di centoventi uomini, «non
si sa verso dove», spinto «da qualcosa d’invisibile come il soffio del vento»,
in preda ad una follia senza rimedio, segnata da un eroismo distruttivo. E poi
Charlotte, vera e propria apparizione nella desolazione del nulla, luminosa ed
enigmatica, con i suoi occhi «d’un radioso, fantastico azzurro, come se vasti
spazi di cielo vi si specchiassero», che fissa il protagonista «senza un batter
di ciglia, al modo degli occhi delle dee» e che reca in sé un destino di amore
e di morte.
Il barone Bagge è un gioiello narrativo
che ha il dono del mistero e della brevità. Il primo chiama a sé inquietudini
e interrogativi in cui vita e morte si confondono o si scambiano le parti, in
una sorta di gioco di specchi in cui i morti sembrano più vivi dei vivi; il
secondo concerne la grande abilità di Lernet-Holenia a narrare, in poche pagine
e con una scrittura raffinata e incisiva, una storia per nulla scontata,
foriera di implicazioni metafisiche e spirituali.
Mauro
Germani