lunedì 1 febbraio 2021

Silvio Raffo - Lo specchio attento


 Silvio Raffo, Lo specchio attento, Elliot Edizioni, 2020

Lo specchio attento di Silvio Raffo, scritto quando l’autore aveva poco più di vent’anni, è un romanzo che a poco a poco trascina il lettore in una zona indefinita, in cui apparenza e realtà, finzione e verità diventano quasi indistinguibili. Si tratta – come ha scritto Pietro Citati – di «un piccolo gioiello del fantastico-visionario, genere quasi ignorato dalla narrativa italiana», dove il tema del doppio si manifesta come l’altro che rivendica la propria dimensione oscura e segreta, fino a sconvolgere ogni consueto approccio al reale. Come in un abile gioco di specchi, si ha a volte la sensazione, durante la lettura, di un vero e proprio ribaltamento in cui è il visibile, la cosiddetta realtà, a perdere consistenza e a trasformarsi magicamente nel riflesso di qualcos’altro, cioè di una dimensione arcana ed inquietante.

È quanto succede a Giorgino, un ragazzo taciturno, privo di amici, dotato di una sensibilità fuori dalla norma, che vive in simbiosi con la madre, la quale esercita su di lui un fascino straordinario. Nel rapporto tra i due c’è qualcosa di assoluto, una sorta di misteriosa dipendenza reciproca, di complicità spirituale, che li lega indissolubilmente. Il giovane, che frequenta il liceo classico, ha il dono di un’immaginazione assai fervida e sovente incontrollabile, una predisposizione all’invenzione e al sogno, di cui non può fare a meno. Così, per vincere la solitudine e la monotonia quotidiana, e fuggire da un mondo che gli risulta estraneo, inizia a creare dentro di sé un personaggio che a poco a poco si impossesserà della sua anima: Ester. Sarà proprio Ester a diventare sempre più importante per Giorgino: egli parlerà spesso con la voce di lei, ne condividerà gesti e sentimenti, in un processo creativo sempre più preciso, dettagliato e autonomo, tanto che l’invenzione sembra perdere la sua dimensione fantastica e divenire sempre più reale.

Quali sono, infatti, i confini tra realtà e immaginazione? Silvio Raffo è molto abile nel confondere i piani, suscitando nel lettore non solo spaesamento, ma anche curiosità e attesa per lo sviluppo della vicenda. Chi racconta è  Giorgino, che si prefigge lo scopo di fare ordine e luce nella sua storia, perché solo così – come egli dichiara – potrà vincere il suo male. Ma di che male si tratta? Ed è poi veramente un male? Certo, il giovane, fin dall’inizio della storia, appare scisso dalla realtà, come se vivesse ai bordi del nulla, tuttavia a ben vedere egli è soprattutto un essere abitato dalla poesia o comunque da una dimensione altra che lo chiama e lo possiede, che gli conferisce il potere della creazione. Intorno alla figura di Ester, infatti, costruisce una storia, con tanto di delitto, che può anche essere letta come una sorta di romanzo nel romanzo. Non a caso, poi, Giorgino subisce il fascino irresistibile del giardino dei poeti presso la villa della zia inglese Maud a Portofino: un luogo magico e segreto, dove vi erano i busti di Byron, Shelley e  Keats, che «si guardavano interrogativamente, anzi guardavano il vuoto, giacché erano sistemati a triangolo». Proprio lì il giovane ama disporsi a lato di John Keats e, «per fargli compagnia», recita i versi del poeta; così con la sua presenza il triangolo diventa un quadrato. Quelle figure solitarie rappresentano per lui un ideale di perfezione di cui la realtà è priva.

La passione di Giorgino per la poesia (e per la letteratura in genere) risulta assai importante per comprendere il romanzo. Essa ne rivela non solo l’aspetto autobiografico (si pensi, ad esempio, alle citazioni di Emily Dickinson, della cui opera Raffo è stimato traduttore ed interprete), ma anche un’impronta di formazione, iniziatica quasi, come se tutta la vicenda narrata fosse in qualche modo metafora di ciò che in fondo è alla base di ogni atto creativo. La vita di Giorgino sembra avere consistenza solo nel suo immaginario, nella sua appartenenza ad altro, ai fantasmi che lo abitano. Il suo gioco iniziale ha dato corpo ad un mondo che si è rivelato con la sua misteriosa urgenza. Non è ciò che accade ad ogni artista? Non c’è forse uno sdoppiamento in chi scrive? I versi poetici non sono sempre dettati? E chi narra una storia non vive forse nelle storie altrui? Poeti e scrittori conoscono bene il fascino ed il rischio del nulla, il loro destino è legato all’assenza e al vuoto, proprio come capita a Giorgino. Nella conclusione del romanzo, infatti, sembra che il nulla abbia il sopravvento. Ma di quale nulla si tratta? Forse significa per il giovane protagonista la fine dei suoi giochi d’identità, il superamento di una fase della sua crescita, l’affrancamento dalla madre e da Ester, e la possibilità di abbandonare un mondo per entrare in un altro. Un nulla necessario, quindi, come per chi si affida all’atto misterioso dello scrivere e – sull’orlo di un abisso – è pronto ad accogliere ogni volta la parola.

Mauro Germani