lunedì 12 dicembre 2011

Rinaldo Caddeo recensisce "Terra estrema"

08/04/2011






MAURO GERMANI - TERRA ESTREMA  (Interventi di Marco Ercolani e Fabio Botto) - EDITRICE L'ARCOLAIO 2011


Come scrive giustamente Marco Ercolani nella prefazione: «Mauro Germani, in Terra estrema, s’inoltra nell’abisso del dolore e affronta, in modo lirico ma impietoso, il tema “perturbante” del corpo.» (p.7). Basti leggere l’indice, che riporta i capoversi, per capire, non solo su di un piano statistico, l’insistenza straniante e straziante, con i suoi annessi e connessi (il sangue o la carne per esempio), del corpo: «Quale ignoto sangue», «Là dove il corpo appare», «Non sappiamo il corpo», «Dall’acqua e dal sangue», «Non so quale risorta carne», «L’avessi mai capito il corpo», «Forse due corpi, una luce», «Col corpo addosso vanno», «È qualcuno il mio corpo», «Amputato corpo», «Conosco tutti i miei corpi sepolti», «Ci sono macchie di sangue». Sono incipt che la dicono lunga e già portano in sé quella dolorosa elegia che si snoda nelle stazioni di una passione di cui parla Ercolani.
Vorrei soffermarmi su di una queste stazioni che, a mio parere, merita un’attenzione particolare. Mi riferisco alla breve ma densa sezione Voci dove l’icastica affabulazione di Germani assume un nuovo angolo visuale e vocale, perlustrando un diverso territorio. Qui sono gli elementi aristotelici a prendere la parola: la Terra, il Vento, il Fuoco, ma anche la Neve, la Notte, il Cielo. E parlano in prima persona: la tonalità oracolare, perplessa o confidenziale, si fonde e fa un tutt’uno con la souffrance di una condizione esistenziale che valica i limiti acuminati dell’io e delinea, con codeste stranite identificazioni, orizzonti più incalcolabili, scenari più dilatati. I significanti e persino gli etimi delle parole, con i paesaggi evocati dai loro sensi, riconvocano e riformulano le cose, ne seguono i confini e i movimenti, con la vastità romantica, a volte tragica, a volte quasi fiabesca, sempre intessute del dramma del loro mobile, metamorfico significato. Gli ingredienti dell’imagerie germaniana (ombremacchievenesognideliri, i temi dell’esilio o del destino) qui si dispongono intorno a una calamita che li circonda e se ne fa circondare con linee di forza che suggeriscono simbolizzazioni sorprendenti. La poetica della manque di Germani qui esperimenta un nuovo centro di gravità che emette, sasso gettato sulla calma superficie di un lago, una concatenazione di onde concentriche: «Sapessi dove inizio e dove finisco, dice il Cielo, qual è il mio corpo immenso, io che vivo solo le altezze, i disegni delle nuvole, il canto silenzioso delle stelle o quello infuocato del sole. Non so chi sono, come cambio, come sarò, non ho memoria, e ogni giorno dimentico la mia vita. Da sempre ignoro il destino che m’accompagna.Tutto avviene senza di me e senza di voi che credete alla mia patria inesistente, mia stessa illusione, mia potenza e mio nulla, come queste parole che ora vi confesso e che nessuno potrà sentire…» (p.74). È culmine questo ultra-romantico (oltre e oltre a Leopardi, a Novalis, a Buzzati…) di paradosso e di estraneazione, la voce senza voce che dice un corpo immenso senza corpo e senza limiti nei corporei limiti della parola, spiega l’indefinito con una sequela di definizioni, la memorabilità con l’oblio, l’appartenenza al massimo della potenza con una sconfinata inappartenenza.
Tematiche e forme che ritroviamo in tutta la sezione, modellate da empatica e struggente coerenza, modulate, ad esempio, con silente e luminosa delicatezza dal «racconto bianco» della Neve o con vibrato e vibrante accento dalla protesta contro l’uomo degli Animali. Grido di protestatio e commiseratio insieme: «Qual è, invece, la vostra ferita, il vostro continuo affanno?
Oh, uomini illusi d’esistenza, folli sovrani senza regno, di che cosa vi credete padroni?
Nessuna ragione, nessun potere, nessun dio vi ha mai salvati e vi salverà, poveri fratelli infelici, povere anime perse nel buio…» (p.77). E chi, se non gli Animali, avrebbe potuto rivolgerlo a noi con maggiore credibilità?

 Rinaldo Caddeo