lunedì 24 febbraio 2025

Rinaldo Caddeo - Le giornate e la notte di un pensionato


Rinaldo Caddeo, Le giornate e la notte di un pensionato, Babbomorto Editore, 2025

Con questa plaquette Rinaldo Caddeo conferma l’originalità della propria scrittura che cattura, ma non è catturabile. Ci troviamo davanti a una serie di frammenti incandescenti o incendiari (L’incendio è il titolo dell’ultimo libro di racconti di Caddeo, pubblicato nel 2021), in quanto è la fiamma della parola a essere in qualche modo protagonista, una fiamma che brucia la polvere della consuetudine fino alla rivelazione dell’inaspettato che cova sotto la cenere. E non a caso al fuoco è dedicata l’immagine di copertina, che raffigura della legna che arde, inoltre nei testi non pochi sono i riferimenti a questo elemento (tanto che viene talvolta da pensare al lógos eracliteo, il quale esprime il suo intimo essere attraverso la trasformazione), spesso in contrapposizione alla polvere: «Il fuoco fa la cenere, la cenere conserva il fuoco. La polvere nasce dalle cose, si allontana e alle cose ritorna»; «Attenti! Sotto la cenere cova già dell’altro fuoco. Sotto la polvere le cose del mondo crollano»; «La cenere, grazie ai vulcani, raggiunge la stratosfera e fa il giro del mondo. La polvere resta sotto».

Ma qual è l’origine di questa scrittura che ci sorprende, che apre abissi con una strana naturalezza, che ci turba senza enfasi alcuna? Da dove traggono forza o ispirazione le visioni che ci appaiono e scompaiono come lampi o fuochi improvvisi, tra una dissolvenza e l’altra? E chi è davvero l’autore di ciò che leggiamo? Esiste, oppure è solo nel titolo? Quale tipo di opera è tra le nostre mani?

Sono domande che suscitano un mistero e possono provocare l’azzardo di alcune risposte, ma ben presto ci accorgiamo che in realtà dalle risposte scaturiscono altre domande. Ed è davvero singolare come le poche pagine di questa plaquette favoriscano tante riflessioni e tanti interrogativi, a dimostrazione di quanto la scrittura in questione sia fertile. Le ipotesi durante la lettura si rivelano pertanto molteplici, come nella migliore letteratura, tuttavia, tra le altre, le due seguenti ci paiono le più interessanti.

Forse al nostro cospetto c’è l’ultima registrazione di un autore che si è ritirato, un pensionato che sa di essere ai margini della vita propria e altrui, e lascia finalmente accadere l’improbabile, ciò che gli altri non colgono perché troppo occupati e indaffarati; qualcosa che solo il suo sguardo – dopo aver attraversato la sequela dei giorni – riesce a percepire, approdando a una notte rivelatrice, in un progressivo avvicinamento al sogno, all’imprevedibile, allo scarto improvviso rispetto a ogni codice conosciuto. O, invece, non c’è alcuna origine e nemmeno un centro, ma solo frantumi-fantasmi che appaiono sulla pagina, come una deriva del linguaggio, una notte linguistica, di cui lo stesso pensionato del titolo fa parte, puro nome tra nomi, spettro di carta, come l’autore stesso Caddeo, ombra di un’ombra, io fittizio, allontanato da sé medesimo nel processo della scrittura.

Il valore di questa plaquette risiede proprio negli interrogativi e nelle supposizioni che provoca. Essa, infatti, si può intendere come una grande domanda che coinvolge non solo noi, i pericoli e le paure che ci assediano, il nostro essere a metà tra salvezza e perdizione («Nel pieno della notte mi sono sdraiato sul fianco sinistro. Con l’orecchio destro ho sentito il concerto silenzioso della musica di cieli. Con l’orecchio sinistro il rombo lontano della guerra che si avvicina»), ma anche le polivalenze del linguaggio, il suo essere imprendibile, la sua capacità di catturarci allontanandosi, spalancando il vuoto tra le parole.

Rinaldo Caddeo è abilissimo a costruire pensieri e a elaborare circostanze o descrizioni sempre sfuggenti, che scottano, che bruciano anche quando sembra restare solo la cenere. La sua prosa apparentemente innocua e neutra ci assale senza preavviso, ci scuote, ci risveglia dal nostro colpevole torpore quotidiano e ci inquieta, perché avvertiamo che in essa c’è qualcosa che ci riguarda: il non detto, il non visto, il rimosso prendono forma in visioni fulminee e perturbanti, in cui qualcosa brucia, si disgrega e qualcosa d’altro appare, come all’interno di una botola o un baratro. Sono vertigini della parola e dell’esistenza. Sono domande che ci chiamano. 

Mauro Germani