domenica 1 gennaio 2017

GABER E IL CORPO


In ricordo di Giorgio Gaber, scomparso il primo gennaio 2003.




Uno dei temi centrali dell’opera di Gaber è sicuramente quello relativo al corpo ed alla sua problematicità. Si potrebbe forse sostenere che costituisce  quasi una sorta di ossessione, data la ricorrenza assai frequente nei testi. I riferimenti alla corporeità, infatti, emergono a vari livelli, sia in modo diretto ed esplicito, sia nel linguaggio, in forma di similitudini, metafore ed allusioni. […]
L’enigma del corpo – la sua doppiezza, il suo essere per noi estraneo e familiare allo stesso tempo – è certo stato affrontato da Gaber in modo esemplare, ora con ironia, ora con amarezza, ora con rabbia, ora perfino con tragicità e disperazione. […]
In Gaber da un lato c’è la spinta verso l’interezza, il superamento della contrapposizione mente / corpo, la rivalutazione delle pulsioni più naturali e profonde rispetto al potere astratto della mente, dall’altro c’è la consapevolezza della propria fragilità, un senso di inadeguatezza perenne, la paura di “guardare in fondo alla propria faccia e di frugarsi dentro agli intestini” (La smorfia), o addirittura lo smarrimento ontologico, al limite della non-esistenza, come emerge dalla splendida Io e le cose. In questa canzone  troviamo tutto il mistero della realtà intorno a noi, del nostro rapporto col mondo esterno, con le cose che ci circondano e silenziosamente ci interrogano su ciò che significa esistere, come ad esempio “le carte coi tarocchi”, “gli eterni scacchi”, “e poi lo specchio rosso/su cui splende un’illusoria aurora”: versi che rimandano alla poesia di Borges Le cose, uno dei testi più importanti di Elogio dell’ombra, ma che in questo contesto assumono un altro significato.

Ad essere sincero io non so
se esistono le cose
non so se vanno male o bene
se tutto è un’illusione.
Ad essere sincero io non so nemmeno
se anche le persone
coi loro sentimenti e la ragione
esistono davvero.

Eppure, in questa contrapposizione al vuoto esistenziale appena descritto, nella strofa-ritornello si affaccia la possibilità dell’esistenza, di una pienezza reale, che forse può dare un rapporto d’amore e che viene sfiorata come un desiderio di appartenenza e di autenticità, rappresentato non a caso da due corpi che entrano in contatto.

Io non so niente
ma mi sembra che ogni cosa
nell’aria e nella luce
debba essere felice.
Io non so niente
ma mi sembra che due corpi
nel buio di una stanza
debba essere esistenza.

Il nostro essere nel mondo comporta una relazione incessante tra noi stessi e la realtà. L’esperienza dell’io è inevitabilmente anche esperienza del mondo. Come sottolinea Eugenio Borgna, “quando cambia la Stimmung (stato d’animo) che è in ciascuno di noi, contestualmente cambia anche la fisionomia del mondo: cambiano i modi con cui il mondo ci chiama e ci parla” (Eugenio Borgna, Come se finisse il mondo, Feltrinelli, Milano 2006, p. 62).
L’eclissi del mondo (il suo oscuramento o addirittura la sua sparizione), a cui fanno riferimento i versi iniziali della canzone, sembra poi essere superata grazie all’esperienza del corpo, del contatto reciproco fra i corpi, che dovrebbe garantire la pienezza dell’esistenza.

da Mauro Germani, Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero, Zona, Arezzo 2013