venerdì 20 dicembre 2019
Rinaldo Caddeo: recensione a "La parola e l'abbandono"
domenica 8 dicembre 2019
Ivano Mugnaini: recensione a "La parola e l'abbandono"
lunedì 2 dicembre 2019
Intervista su "Limina mundi"
Sul blog letterario "Limina mundi" è uscita una mia intervista relativa a La parola e l'abbandono. Ringrazio Deborah Mega, Maria Rita Orlando e Loredana Semantica per l'attenzione. QUI
sabato 9 novembre 2019
La parola e l'abbandono - Aforismi su "La poesia e lo spirito"
martedì 5 novembre 2019
Thomas Bernhard - Antichi Maestri
Il rapporto tra arte e vita è al centro di questo romanzo di Thomas Bernhard, che è una sorta di doppio monologo, ovvero la testimonianza di due voci che si intrecciano tra loro: quella dominante di Reger, vecchio critico musicale, e di Atzbacher, scrittore e filosofo, il quale riporta i pensieri del primo, trascrivendo un verbale non solo senza destinatario, ma anche così fluido che la sua voce sembra divenire l’eco della prima.
lunedì 7 ottobre 2019
Perché questo libro è stato scritto?
giovedì 26 settembre 2019
Ennio Flaiano - Tempo di uccidere
sabato 7 settembre 2019
Giovanni Testori - Trilogia degli Scarozzanti
Con la Trilogia degli Scarozzanti, comprendente L'Ambleto (1972), Macbetto (1974), Edipus (1977), Giovanni Testori crea un percorso drammaturgico di estrema originalità, contraddistinto da una scrittura che nasce dentro la carne, perché il linguaggio – secondo le parole dello stesso Testori – “deve essere fisiologico, creare tensione tra chi parla e chi legge o ascolta”. Da questo motivo scaturisce la necessità di una scrittura non solo materica, ma anche libera da un sistema espressivo codificato ed istituzionalizzato, una scrittura ancestrale, quindi, la quale – per citare quanto Testori dichiarò a proposito del Macbetto – vuole “mettere l’apocalisse nelle parole: distorcerle, squartarle, scuoterle”, fino al risucchio, dentro “la grande fenditura di cui la donna è l’emblema, da cui tutto è uscito e in cui tutto rientra”. E questa affermazione è da collegare anche all’ossessione – presente sempre in Testori – della nascita, del venire al mondo contro la propria volontà, dell’espulsione dal ventre materno nel sangue, in una condanna terrena tutta da scontare, nella battaglia continua tra senso e non senso. Non a caso nell’Ambleto il fantasma del re emerge dal suo stesso sperma, perché è proprio da lì che per il protagonista inizia la tragedia.
sabato 6 luglio 2019
Marco Molinari: recensione a "La parola e l'abbandono"
venerdì 5 luglio 2019
Roberto Dall'Olio: recensione a "La parola e l'abbandono"
Sono molto grato a Roberto Dall'Olio per questa sua recensione a La parola e l'abbandono, pubblicata su "La costruzione del verso" Qui
sabato 22 giugno 2019
Gian Ruggero Manzoni - Nel profumo delle catacombe
Mario Bonanno: recensione a "La parola e l'abbandono"
Sono molto grato a Mario Bonanno per questa sua recensione a La parola e l'abbandono, pubblicata su SoloLibri.net Qui
lunedì 17 giugno 2019
Luca Lanfredi - Il coraggio necessario
giovedì 16 maggio 2019
Mauro Germani - La parola e l'abbandono
martedì 30 aprile 2019
Sergio Leone: il sogno del cinema
martedì 16 aprile 2019
Giovanni Testori - In exitu
Giovanni Testori, In exitu,
Garzanti 1988
In exitu è una delle opere più estreme di Giovanni Testori, nella quale la scrittura è continuamente spezzata, lacerata, attraversata da uno spasimo atroce. C’è un balbettio, un singhiozzo che non ha requie nella voce di Gino Riboldi, il giovane drogato che si prostituisce ed è ormai arrivato alla fine della propria travagliata esistenza. Una voce di pena e di condanna, una voce di nessuno, ai margini della grande metropoli. Una voce che esce dal buio della carne crivellata dalle siringhe, dai visceri, dai ricordi improvvisi, dalle visioni che sconvolgono la mente e il cuore.
Testori
scrive in una lingua deformata, un impasto di dialetto,
di latino e di italiano – una lingua martellante, reiterata, sempre incompiuta,
che vuole essere tutt’uno col dramma del protagonista. Qui il respiro
s’interrompe e riprende, diventa un rantolo, perché la contesa
tra vita e morte prosegue fino allo strazio ultimo, fino alla fine.
Scrittore e lettore sono chiamati, perciò, a uno sforzo estremo, che potremmo
definire sacrificale, in quanto avviene dentro il corpo
della scrittura, passa attraverso i suoi nervi, i suoi borborigmi, le sue
afasie. Per questo Testori chiama a un sacrificio,
di cui egli stesso è officiante e vittima, in uno sdoppiamento drammatico: si
vedano, infatti, le parti in cui il protagonista si rivolge direttamente allo
scrittore.
Leggendo In
exitu, non si può non riflettere sulle questioni fondamentali – e più
inquietanti – concernenti il rapporto tra parola ed esistenza, che ha segnato
indubbiamente tutta l’opera di Testori, in una tensione febbrile,
cioè a dire mai squisitamente letteraria, ma ustionata dall’essere-nel-mondo,
dalle passioni, dalle offese che ci assediano e ci assalgono fin
dalla nascita.
Non
voleva certo essere neutrale, Giovanni Testori. Sia prima che dopo lo scandalo della
conversione – suggellato dal monologo Conversazione con la morte,
letto da lui stesso la sera della prima al Salone Pier Lombardo di Milano il 7
novembre 1978 e successivamente portato in diverse chiese – possiamo ravvisare
un’urgenza esistenziale, un bisogno d’interrogare la vita, di
scavare dentro la ferocia del venire al mondo per cercare o invocarne un senso,
una significanza, tra bestemmia e preghiera. Mai nessuna difesa, dunque,
nessuna distanza tra la vita e l’opera.
E anche In exitu – quest’opera ultima, terribile e
al tempo stesso tenera nella sua crudeltà – vide la presenza, il 13 dicembre
1988, dello stesso Testori nel ruolo del lettore, accanto a una
impressionante interpretazione di Franco Branciaroli, quando andò in scena alla
Stazione Centrale di Milano (con il pubblico sulla scalinata ovest), luogo dove
termina la via crucis di sofferenza, di sesso e di
degradazione del protagonista. Una via crucis, le cui dolorose
tappe avvengono “nella notte (marcia)”, nella città “coperta di nebbia (marcia)
sulla groppa della città-cavalla. Viola. Nella notte. Marcia”, nella città
“contristata”, “umiliata”, “derelitta”, “assediata”, dove “Lì, è. Lui
(nessuno). Lì fu (nessuno). Lì era. Lui (nessuno). Lì sarà. Lui (nessuno)”.
Nulla
viene risparmiato da Testori: perversioni, oscenità, violenze fisiche e verbali
si alternano a momenti d’abbandono, di slanci di un amore offeso, dilaniato, ma
che pure a tratti emerge da ogni nefandezza.
Perché
tutto, in fondo, è un grido – un urlo impastato di
disperazione, di rabbia ma anche d’invocazione, di richiesta di soccorso. Come
se davvero la scrittura non fosse più in grado di tollerare l’esistenza e il
suo abisso: troppa carne ferita, troppo dolore impronunciabile, troppo inferno,
troppi marciapiedi, troppi cessi di dannazione, in cui nascondersi
e sprofondare. Fino all’agonia, alle ultime visioni, alla vertigine. Come in
un ritorno, una nuova nascita, finalmente, tra il
vomito e il sangue: “Per l’eterno. Nella Goccia. Serrato su. Imbracciato. 'Me
in una cuna. Pussè ammò. 'Me in una cà. La sua. La sua de lu. La sua de lu. La
sua de lu. La sua de lu, mamma. La sua de lu, papà…”.
E
alla fine, dopo la morte del protagonista, la scrittura si ricompone,
nell’ultima splendida sequenza del libro:
“Quanti
l’indomani, s’affrettaron per primi ai treni, lo videro. Coperta d’un lenzuol
bianco, la barella, su cui era stato deposto, attraversò, infatti, l’intera
stazione. Alcuni chiesero e seppero. Altri andarono oltre. Tutti, però, al
passaggio, scorsero una sorta di luce che, lentissimamente, andava formandosi
sopra il cadavere e pareva vincere il grigior delle volte e il buio di ciò che,
di là da esse, risultava improprio definir alba, benché neppur possibile fosse
ritener notte”.
Mauro
Germani