Perché questo libro è
stato scritto?
La
domanda può sembrare banale, ma in realtà è importante, ed è giusto che il
lettore se la ponga al termine della sua impresa. Un’opera, infatti, per essere
davvero tale e autentica, deve avere una sua intima necessità, una sua ragion d’essere, se non addirittura un’urgenza impellente.
Purtroppo
oggi capita sovente che, dopo aver letto una silloge poetica o un testo di narrativa
di un autore contemporaneo, non vi sia
alcuna risposta autentica e convincente al
suddetto interrogativo. La domanda perché
questo libro è stato scritto? resta dentro di noi senza esito e il libro
rimane tra le nostre mani come qualcosa di inerme, vuoto, e soprattutto innocuo.
Non si riesce a capire che cosa abbia mosso l’autore, quale sia stata la ragione profonda del suo scrivere,
al di là naturalmente della propria ambizione personale, del suo voler essere scrittore o poeta.
Spesso – soprattutto in ambito poetico – ci troviamo davanti
a semplici esercizi di stile, oppure
a fastidiose imitazioni, di cui non
si riesce a comprendere la motivazione, se non quella di emulare presunti e affermati "maestri" per trarne vantaggi personali. Nel migliore dei casi assistiamo a elaborazioni costruite anche con una certa abilità, ma che non scalfiscono
minimamente il nostro animo e il nostro pensiero, perché in tali esercizi, in tali compitini, in realtà non c’è niente.
In essi manca ciò che non può mancare
in un’opera letteraria: l’esistenza.
Se quest’ultima è assente, che cosa resta? Un vacuo, noioso e spesso
insopportabile gioco di parole, che rivela solo la propria insensatezza. Se in
un libro non c’è l’esistenza, non c’è
nemmeno la sua ragione d’essere. Perché scrivere se non siamo capaci o abbiamo
paura di affrontare il pericolo stesso
della scrittura, la quale non può essere svincolata dall’esistenza? Perché
continuare a produrre opere inconsistenti,
senza il mistero e/o il dramma di tutti noi, dell’esistere, del nostro essere
qui, con tutte le contraddizioni, i dubbi, gli smarrimenti, gli errori, i
tormenti, ma anche le speranze e le invocazioni che fanno parte della nostra condizione di esseri umani? Perché comporre
in poesia esercizi ordinati e inoffensivi, oppure scrivere romanzi o racconti
scaltri, ma privi di una scrittura autentica, originale, sofferta? Perché non
assumere il rischio che la parola
richiede, quel rischio che pure hanno conosciuto schiere di poeti e di
scrittori, che hanno pagato fino alle conseguenze più estreme il loro rapporto con la scrittura? Non c’è alcuna missione salvifica
nello scrivere, perché questo nasce dall’esistenza e l’esistenza è di per sé un mistero che è contesa tra bene e male fino alla fine. Ogni
scrittore o poeta vero non può che sentire dentro di sé questa tensione continua, anche se la sua opera magari apre alla
speranza o contiene una concezione religiosa
dell’esistenza (si veda, ad esempio, il caso di Giovanni Testori). Non si può sfuggire a questo. L’autenticità non si compra,
né si baratta, e proprio per questa ragione occorre prendere le distanze anche
da un certo ambiguo maledettismo
d’accatto o ragionato, dunque di maniera, qua e là presente in alcuni giovani poeti contemporanei,
epigoni illusi o maldestri dei loro compiacenti maestri.
Ritornando
alla domanda iniziale perché questo libro
è stato scritto? la risposta dovrebbe allora essere sempre unica: perché
l’ha dettato l’esistenza, in quanto è proprio dal conflitto mai
definitivamente compiuto, ed anzi drammatico, tra parola ed
esistenza, che può nascere un’opera
autentica, capace cioè di incarnare la suddetta tensione nella pagina e
trasmetterla al lettore, coraggiosamente, con tutti i rischi e i pericoli
(ancora una volta dell’esistenza stessa) che questo comporta per entrambi i
soggetti coinvolti, vale a dire chi ha
scritto e chi ha avuto la ventura di
leggere.
Mauro Germani