Chi legge oggi un autore come Georges
Bernanos? Chi ha il coraggio di affidarsi alla forza impetuosa della sua
scrittura e soprattutto di lasciarsi assalire dalla drammaticità delle vicende
da lui narrate, dai dilemmi, dai tormenti e dalle sfide dei suoi personaggi?
Scrittore cattolico, ammiratore di Leon Bloy (quest'ultimo venne chiamato lo scorticato, oppure il pellegrino
dell’assoluto), Bernanos è stato un indagatore del buio e del male, capace
– con la sua prosa visionaria e realistica insieme – di rendere
visibile l’invisibile, come molti hanno sostenuto. Nemico della letteratura
fine a sé stessa, degli scrittori innocui da salotto, sentiva
l’urgenza di esporsi in prima persona, scosso da una febbre di scandalosa
verità e da un’ansia bruciante contro il cosiddetto quieto vivere e
la sonnolenza religiosa.
Bernanos – come ebbe modo di sottolineare
Carlo Bo – è stato un autore che ha disorientato soprattutto i cattolici e i
benpensanti, con la sua “parola che non lascia mai la presa e quando ci si
presenta conserva ancora del fuoco da cui è uscita, del fuoco a traverso cui è
passata”. Per questo in lui non dobbiamo cercare l’architettura, la struttura
ben calcolata e ragionata, la proporzione o addirittura l’armonia dell’opera,
perché nei suoi romanzi, al contrario, prevale l’anima (e non la psicologia, si
badi) dei personaggi, travolti da qualcosa di più grande di loro,
che investe lo stesso autore. La forza della realtà creata
diviene in Bernanos talmente dirompente da assalirlo, da trascinarlo con violenza
in un linguaggio da posseduto, in una sfida estrema. Egli non
cercava la verosimiglianza, ma la verità implacabile delle
parole, dei gesti, degli sguardi dei personaggi da lui evocati. Essi parlano e agiscono segnati dal profondo della loro
esistenza, non sono ombre di carta, ma anime di carne gettate
sulla pagina. E bisogna aggiungere che non deve essere stato per nulla facile,
per Bernanos, avere a che fare con un’esperienza di scrittura così radicale
e pericolosa, in preda a forze di per sé stesse ingovernabili, e
riuscire poi a comporre libri così scomodi e potenti – almeno per chi è in
grado di avvicinarli col giusto atteggiamento. In caso contrario, il rischio è
quello di giudicare l’intera opera di Bernanos oscura, caotica, e
perfino assurda.
Sotto il sole di Satana (1926) è il suo primo romanzo, ma già in
esso troviamo temi e motivi che contrassegneranno la produzione letteraria
successiva. Diviso in tre sezioni (Prologo – Storia di Mouchette; Parte
prima – Tentato dalla disperazione; Parte seconda – Il santo di Lumbres),
il libro è essenzialmente la storia di due anime in lotta: la prima, quella
della giovanissima Mouchette, votata al male e alla menzogna, nella cinica
consapevolezza della propria autodistruzione, e quella di Donissan, prete
destinato a una santità tormentata, in perenne conflitto con sé stesso ed il
mondo, capace di leggere nel profondo delle persone, dopo aver conosciuto “lo
spaventoso orrore del peccato, lo stato miserabile dei peccatori e la potenza
del demonio”. Pur essendo contrapposti, i mondi di questi due personaggi non
sono in realtà lontani, perché entrambi si trovano al centro di una contesa che
non dà tregua e che in certi momenti pare addirittura confonderli, come sa bene
l'abate Donissan. Si legga questo passo:
"Oh, voi, che mai avete conosciuto
del mondo se non colori e suoni senza sostanza, liriche bocche dove l'aspra
verità si scioglierebbe come una pralina – cuori da poco, bocche da poco –
tutto questo non è per voi. Le vostre diavolerie sono a misura dei fragili
nervi che avete, e il Satana del vostro strano cerimoniale non è che l'immagine
deformata di voi stessi, perché colui che è devoto all'universo carnale è
Satana a se stesso. Il mostro vi guarda ridendo, ma non ha messo su di voi il
suo artiglio. Non è nei vostri libri farneticanti, e neppure nelle vostre
bestemmie o nelle vostre ridicole maledizioni. Non è nei vostri sguardi avidi,
nelle vostre mani infide, nelle vostre orecchie piene di vento. Invano lo
cercate nella carne più segreta che il vostro miserabile desiderio attraversa
senza saziarsi, mentre la bocca che mordete non rimette che un sangue
dolciastro e pallido... E tuttavia è... È nella preghiera del Solitario, nel
suo digiuno e nella sua penitenza, nei recessi dell'estasi più profonda, e nel
silenzio del cuore... Avvelena l'acqua lustrale, brucia nella cera consacrata,
spira nel fiato delle vergini, strazia con il cilicio e il flagello, corrompe
ogni via".
Mouchette ha scelto di
perdersi, vuole annullarsi nel proprio abisso (l’omicidio del primo amante, il
marchese di Cadignan, poi il rapporto con l’ufficiale sanitario Gallet, infine
il suicidio); Donissan – il futuro santo di Lumbres – dedito a crudeli
penitenze corporali, è così tormentato da un profondo senso di inadeguatezza che è persino assalito da tentazioni suicide. In entrambi, anche se in modo diverso, fa la sua comparsa la
seduzione del nulla: "Conoscere per distruggere, e rinnovare la propria
conoscenza e il proprio desiderio – o
sole di Satana! – desiderio del niente ricercato per se stesso,
abominevole effusione del cuore!".
Nessun atteggiamento manicheo in Bernanos,
ma l’attenzione a rappresentare l’irrappresentabile, cioè l’anima in
preda all’esistenza e alle forze misteriose che la sottendono e la
sopravanzano insieme. Egli non ha paura di calarsi nelle tenebre perché sa che
in esse c’è comunque una verità nascosta. La notte, che domina tutto il romanzo, è
duplice: è quella demoniaca di Mouchette, ma anche quella della solitudine e
della Passione di Cristo. Essa è un elemento che avvolge, che assale e
che rivela, come testimoniano, ad esempio, le bellissime pagine in
cui Donissan, smarrito nella pioggia e nel buio della campagna, incontra prima
Satana, e poi Mouchette.
Chi è veramente l’abate Donissan? – ci
chiediamo. La risposta non è semplice. Pare che Bernanos si sia ispirato al Curato
d’Ars, ma certamente ha creato una figura misteriosa, che attrae e sconcerta, presa d’assalto dal
soprannaturale, come nell’episodio in cui viene tentato (da Satana o da Dio?) dal compiere
un miracolo per far risuscitare un bambino. Un prete, che ha speso la propria
vita per gli altri e a cui gli altri ricorrono per le loro pene, ma sempre solo nel suo tormento, fino allo stremo delle forze, un
santo senza aureola, un eroe del cielo, povero e ostinato, che morirà nel confessionale, per adempiere fino
all’ultimo alla sua missione. Bernanos fa trovare il suo cadavere a un ricco e ipocrita scrittore di
successo, nonché accademico di Francia, Antoine Saint-Marin (verso cui lo
scrittore francese mostra tutto il suo disprezzo), venuto a cercarlo solamente per curiosità e ricavarne magari una pubblicazione. Egli vedrà “la bocca nera, nell’ombra, simile a una ferita aperta
dall’esplosione di un ultimo grido”: il gesto finale di una sfida tremenda.
Sotto il sole di Satana è un libro intenso e disorganico (ma affascinante proprio per questo). Leggendolo, non si
può non restare colpiti dalla straordinaria abilità di Georges Bernanos nel
descrivere il travaglio spirituale dei personaggi e soprattutto nel dare voce
alle loro anime assediate (si vedano, a questo proposito, i
dialoghi, davvero potenti, veri e propri gorghi d'anima), nell’intento di
strappare il lettore alla propria inerzia spirituale, anzi di scaraventarlo in
quell’agone ancestrale che – pur invisibile – condiziona da sempre, secondo lo
scrittore francese, la nostra esistenza.
Nota - Risale al 1987 il film omonimo di Maurice
Pialat tratto dal romanzo di Bernanos, interpretato da Gérard Depardieu nel
ruolo di Donissan e da Sandrine Bonnaire in quello di Mouchette. La pellicola si aggiudicò, tra i fischi
del pubblico e non poche polemiche, la Palma d’oro al Festival di Cannes. Nel
nostro Paese il film ebbe una scarsa distribuzione, tanto che, a tutt’oggi, non
esiste la versione italiana in DVD.