sabato 31 agosto 2024
venerdì 30 agosto 2024
Recensione di Maurizio Soldini a "Prima del sempre"
lunedì 12 agosto 2024
Piero Lotito - Di freccia e di gelo
Piero
Lotito, Di freccia e di gelo,
Mondadori, 2024
Di freccia e di gelo, l’ultimo romanzo di Piero Lotito, narra la storia di Ötzi, risalente a cinque millenni fa. L’idea, assai originale, è quella di far parlare un passato lontanissimo: che cosa ci può comunicare oggi l’esistenza di un uomo vissuto in un mondo così distante e diverso dal nostro?
La narrazione, in prima persona, prende lo spunto da un fatto storico ben preciso: il ritrovamento, nel 1991, tra i ghiacciai delle Alpi altoatesine, dell’uomo del Similaun, comunemente conosciuto come Ötzi. Lotito non solo gli dà la parola, ma anche e soprattutto l’anima. Perché ciò che emerge e coinvolge il lettore in modo davvero sorprendente in questo romanzo sono gli eventi della vicenda narrata uniti ai pensieri e ai sentimenti del protagonista: la sua storia non ci risulta estranea, perché parla del nostro destino, di vita, di amore, di morte. Come si afferma nel risvolto di copertina, «un essere umano non è soltanto usi e abitudini. Gli è propria una sostanza immateriale più profonda», che è alla base di ogni azione.
Così il racconto di Ötzi è un po’ quello di ciascuno di noi, e ciò che gli accade non è in fondo così diverso da quanto ci appartiene. La sua figura non si dimentica facilmente, perché conserva i tratti originari del nostro essere e sta a fondamento della nostra natura umana. E bisogna subito dire che in questa impresa letteraria assai rischiosa, Piero Lotito è riuscito a sventare abilmente il pericolo di costruire una storia artificiosa o poco credibile, anzi, il romanzo conquista la nostra attenzione e si fa apprezzare proprio per l’impianto narrativo e per la nitidezza e l’efficacia della scrittura. Ne sono prova le descrizioni vivide e dettagliate, che rendono la pagina estremamente ricca, realistica, priva di enfasi, con una mirabile coerenza stilistica. La vita di Ötzi, dalla sua giovinezza con i genitori alla sua formazione da cacciatore, si snoda attraverso episodi decisivi che seguiamo con curiosità e partecipazione: gli imprevisti, i pericoli, le relazioni con gli altri esseri umani, i desideri e i sogni s’intrecciano in modo indissolubile con il procedere della storia e si configurano come sfide continue a cui egli è chiamato a rispondere.
C’è, in definitiva, qualcosa di epico e insieme di quotidiano in questa narrazione. C’è l’eroismo di Ötzi nell’affrontare le paure e i pericoli di ogni giorno, ma ci sono anche i dubbi, le perplessità, i dolori (la morte del padre e poi quella della madre), la solitudine, l’amore lacerante per Alesh, il senso di appartenenza alla propria famiglia (gli insegnamenti del padre cacciatore, uomo taciturno e violento, ma con un proprio codice “morale”, a cui si contrappone la dolcezza della madre, con la sua umiltà e le sue premure), infine le leggi della comunità del villaggio.Come non partecipare anche noi al destino del protagonista, alla sua tenacia, ai suoi affetti, alle scelte talvolta dolorose che è costretto a compiere? Come non vedere nel suo volto, nei suoi gesti, nella sua lotta per la sopravvivenza l’ombra stessa di noi, ciò che fa parte del nostro essere?
L’epica quotidiana di Ötzi, qui
narrata senza alcuna retorica e senza stereotipi, ci colpisce allora come una
parabola esistenziale: è il cerchio misterioso del destino che ci attende, il
segreto che siamo e che portiamo dentro
di noi. Così la bellissima conclusione della storia rimanda al passato del
protagonista, al suo legame con il padre, alla sua stessa origine, come un
ritorno imperscrutabile a ciò che Ötzi stesso ha vissuto da ragazzo, in mezzo
al gelo e alla neve, nella quale affonda per l’ultima volta il viso. In modo
discreto e sobrio, ma quanto mai incisivo, Piero Lotito chiude il cerchio
dell’esistenza del protagonista con un’immagine realistica e misteriosa
insieme: proprio quando la salvezza pare raggiunta, la freccia del destino
arriva a trafiggere nel nulla, dove c’è solo vento e gelo. E tanta neve, che
però per Ötzi è buona.
Mauro Germani
domenica 4 agosto 2024
Antonio Prete, Carla Saracino - Dal tempo qui raccolto. Una conversazione
Nel
«primo tempo» viene sottolineata da Antonio Prete la natura dialogica di ogni
ermeneutica, fondata sul domandare e sulla reciprocità, tanto che il testo
diviene «vivente e interrogante». Da qui l’importanza del dialogo tra poesia e
filosofia, nucleo del pensiero poetante di cui Prete si è fatto interprete, a
partire dai suoi studi su Leopardi. Di particolare interesse risultano poi le riflessioni
sugli intrecci tra critica e narrazione, al di là di ogni rigida classificazione
in categorie, perché in realtà ciò che è decisiva e centrale è l’esperienza
della scrittura nelle sue intrinseche possibilità.
Il
«secondo tempo» della conversazione unisce riflessioni e ricordi,
considerazioni su temi fondanti della scrittura e notazioni biografiche, in una
dimensione che non risulta mai puramente teorica, ma legata all’esistenza. Così
mentori e amici vengono nominati da Antonio Prete con stima e gratitudine:
Mario Apollonio, con il suo insegnamento secondo cui «il testo diventa vita in
colui che legge», poi, tra gli altri, Edmond Jabès, Mario Luzi, Yves Bonnefoy,
frequentati assiduamente a partire dai primi anni Ottanta, all’insegna dello
scambio culturale e del dialogo fecondo «con i modi e le forme e le invenzioni
che animano le loro opere».
Di
grande rilievo e spessore sono inoltre le osservazioni sul legame del silenzio
con la lingua: «un silenzio che è movimento verso il dire, attesa della
parola», presenza di un «tempo altro», che è ritmo proprio della poesia, «vento
segreto che trascorre nella frase poetica».
Impossibile
qui riassumere tutte le considerazioni presenti nel libro, ma vale la pena evidenziarne
ancora alcune di notevole importanza: la poesia intesa come «un pensare contro
l’oblio», secondo l’intuizione di Jabès, oppure come «sfida sul crinale tra
presenza e assenza, tra verità e finzione, tra visibile e invisibile». Non
mancano, poi, i riferimenti di Prete alla sue raccolte poetiche, nelle quali è
particolarmente sentito il tema della soglia del visibile e del dicibile, in
una tensione che coinvolge la parola nel
suo scarto «tra il dolore e la lingua, tra il respiro della terra e il dire
dell’uomo». Come afferma Carla Saracino, il lavoro poetico di Antonio Prete
pare contraddistinto da «un doppio passo», che è «vocazione interrogante» e, al
tempo stesso, volontà di «non tradire né scoprire»: è quanto emerge soprattutto
da Se la pietra fiorisce, che rimanda
al verso di Celan «È tempo che la pietra accetti di fiorire» e rappresenta
«l’ostinazione della vita, che rompe l’aridità, sfiora l’impossibile, si
afferma là dove è negata».
La
lettura di questa conversazione risulta illuminante per conoscere e
approfondire l’opera complessiva di Antonio Prete, docente universitario,
critico, narratore, poeta e traduttore; un’opera complessa e variegata, che si
pone «nel tragico mostrando l’al di là del tragico», interrogando «l’inferno di
un’epoca con lo sguardo verso uno spicchio di cielo» e con« il compito di chi
si trova ad aver rapporto con la scrittura e con le sue forme».
Dal tempo qui raccolto è
un libro raro, da custodire come un
dono prezioso, uno scrigno di domande, di temi e di riflessioni, frutto non
solo di un’incessante ricerca intorno alla scrittura, al pensiero e
all’esistenza, ma anche di una testimonianza intellettuale che si configura
come ascolto, accoglienza e incontro.
Mauro Germani