sabato 31 ottobre 2020

Mauro Germani - I posseduti

 


[…]

Sono qui, sono sempre stati qui, i posseduti nella carne e oltre la carne – prima dell’eterno distacco, qui, nelle loro putrefazioni e negli osanna, coi loro occhi morti o levàti al cielo, miserabili dentro bocche di fango, oppure santi rapiti dalla preghiera, midolli di verbi che senza saperlo s’incontrano e si cercano in danze di sangue, coi loro arti amputati, a balzi, a saltelli, a sputi, nei visi bianchi o di fiamma, nei vortici del tempo, tutti insieme nella morte, eppure in attesa dell’ultimo rantolo, senza più ragione, senza più cervello, finalmente, perché chiamati ad altro, chiamati da sempre, dal primo vagito all’abbandono finale – poeti bui e senza voce baciati dal nero e colpiti all’improvviso come da un dolce assassino, e poi, all’opposto, spiriti d’infanzia e di luce, certezze di bontà dentro il mistero del male nel mondo – affossati, tutti, uno dopo l'altro, con le loro carcasse immonde, senza più i petti d’un tempo, i palpiti, la giovinezza, gli amori –

Sono qui, sono sempre stati qui, i posseduti dalle loro tremende parole, reiterate fino al paradosso e alla follia, cercate e amate dentro l’ossessione del nulla che divora la carne fino agli ultimi brandelli, simili ad avanzi di macelleria, oppure tutti coloro che sanno la bellezza e l’indicibilità delle preghiere più vere insieme a ogni santo martirio per Cristo, con Cristo e in Cristo, sempre sangue su sangue in ambedue i casi, sempre dolore – ecco – per ogni cellula corporale, per arrivare allo scoppio, alla resa, a quella carne così fredda e bianca come una luna morta… Oh, è questo, è questo che hanno cantato e cantano i posseduti, i senza speranza e i suicidi, i mistici e gli innamorati di Dio –; questo che sprofonda o innalza e urla nel silenzio e non ha pace, e condanna e benedice, mentre restano vaganti le opere di chi si è affidato alla scrittura, sì, i personaggi, i fantasmi, i profughi delle loro parole, dentro gli antichi miti fino a oggi, per i pochi che li vogliono accogliere, Achille, Ulisse, Enea, senza fissa dimora nei secoli – potremmo dire – in un luogo senza luogo, che tutto contiene, pare senza distinzioni, la selva oscura e il viaggio abissale e celeste, K che viene sgozzato come un cane, e il principe Saurau travolto dalla follia, e Drogo che scruta il deserto, e Hans Castorp nel sanatorio di Davos, e Meursault estraneo a sé stesso, e Antoine Roquentin disgustato dall’esistenza, e lo scrivano Bartleby che abdica al mondo e alle parole, e Ferdinand Bardamu nel disastro della realtà, e Donissan che lotta con Satana, e Mouchette assalita dal male, e il curato d’Ambricourt  nella solitudine della sua parrocchia, e Clotilde luminosa nella povertà e nel dolore, e Marchenoir innamorato del Medioevo, e poi Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, e Amleto, Re Lear, il principe Myškin, e Stavrogin, e Nechljudov, e i sei personaggi senza pace e senza teatro, e gli Scarozzanti con le loro voci strozzate da altre voci, e ancora, ancora – (ma quanti, Dio mio, quanti!... usciti dalle anime a frotte, a stormi, nei cieli invisibili della storia, come uccelli liberati improvvisamente dalle gabbie, ciechi dopo tanto buio, e abbagliati, e perduti!...) – fino a quando il mondo sarà, prima dell’altro tempo –; tutto questo, ecco, alla ricerca del proprio segreto senza saperlo, oppure come atto di fede e invocazione nella preghiera, sì, sempre dall’ultima ora e dalla carne sfinita – la nostra, che adesso è qui e che domani lasceremo alla terra – nella speranza e nell’attesa di un’altra luce, di una nuova carità, della pace e del perdono…

Mauro Germani

giovedì 29 ottobre 2020

LA CITAZIONE (n. 22) - Giovanni Testori


 […]

Un giorno qualcuno sarà profeta di vita;

a me non è stato possibile.

A me è stato possibile solo dirvi questo:

riunite la morte alla vita,

riunitele

o su voi scenderà solo e per sempre lei,

la morte fattasi oggetto,

la morte fattasi cosa…

Riunitele,

ve lo chiedo dalla mia fine

e dal mio inizio:

riunitele.

Allora il cerchio si ricomporrà

e con il cerchio il senso,

l’infinita pazienza dell’essere,

la sua giustizia, il suo significato.

Riunitele così, vita e morte,

com’è accaduto a lei,

come sta accadendo a me,

in un bacio,

nel bacio che vi do.

Pietà per la mia insipienza,

pietà per il mio povero, incapace amore.

Pietà, popolo che m’ascolti,

pietà di me, di voi,

e poi luce, infinita giustizia, carità,

perdono…

 

Giovanni Testori, Conversazione con la morte, Biblioteca Universale Rizzoli, 1978

sabato 17 ottobre 2020

Mauro Germani - Altri aforismi (2)


Mistero di Dio e mistero dell’uomo: che vengano strappati all’oblio e finalmente preservati e ricongiunti.

Ogni volto di un santo è illuminato dall’amore e dalla sofferenza.

Sentirsi sconfitti può avvicinarci a Dio, oppure allontanarci. È la nostra libertà.

In un grido disperato c’è sempre una speranza segreta, un’altra voce che chiama, un’invocazione che chiede misericordia e soccorso.

Che la Chiesa diventi davvero povera, al di là di ogni potere e più conforme allo spirito evangelico! Non cancelli, però, la solennità delle funzioni e dei riti: siano questi sempre segni di mistero e di bellezza per ogni anima.

Bisogna ammettere che sul piano della salvezza, l’arte e la poesia non esistono. Probabilmente una preghiera autentica, o un semplice balbettio durante una confessione, valgono di più di ogni capolavoro realizzato dall’uomo.

Forse non si muore mai soli, ma insieme a tutti i morti.

Imparare a pregare è anche prepararsi a morire, saper dire di sì, lasciarsi andare nel luogo in cui da sempre siamo attesi.

C’è sul volto un desiderio di verità che vince il mondo perché è l’ultimo. È il grido dell’anima, l’attesa del morente.

La contesa tra bene e male riguarda l’uomo. C’è in palio la sua anima. E la tremenda battaglia è nel mondo, è qui, passa attraverso il sangue e la carne.

Un’anima davvero libera dovrebbe essere sempre un’anima pura, uno sguardo di luce in mezzo alle tenebre.

Bernanos ha scritto che «il peccato contro la speranza è il più mortale di tutti, e forse quello accolto meglio», ma ha anche precisato che non bisogna confondere la speranza con l’ottimismo. Quest’ultimo, infatti, «è una falsa speranza di cui si servono i vigliacchi e gli imbecilli».

E se questa pandemia, che tanto ci spaventa, fosse in realtà la conseguenza di un morbo antico, più subdolo e silenzioso, che per anni e anni ha colpito le nostre anime, ed ora ha cominciato ad attaccare anche i nostri corpi, in un assedio completo, ricordandoci che la morte esiste? Chi fermerà questo male? Chi potrà ridarci il respiro e riunirci? Potrà bastare la scienza?

Oh, la sorpresa della Carità, la sua speranza viva, il suo fuoco portato dentro il dolore! Quell’affannarsi continuo di uomini e donne dove si grida e si soffre, cavalieri sporcati dall’amore che redime, così umili, così semplici, eppure così potenti nella loro grandezza!

La conversione a Cristo non è mai qualcosa di definitivo, perché la fede è una prova sempre esposta al rischio della caduta e del fallimento. Essa, infatti, deve essere continuamente rinnovata.

Come trema il buio, come confonde e si confonde! Occorre guardarlo, penetrarlo, per conoscerlo meglio, capirne il dramma, il segreto che lo inghiotte e lo fa palpitare nella lotta, davanti ai nostri occhi spalancati…

Le nostre parole che restano come rovine d’Altro, come frammenti di ciò che perdiamo giorno dopo giorno. Scintille, oppure ceneri di un fuoco lontano, che altrove divampa.