Giovanni
Papini, Lo specchio che fugge, Franco
Maria Ricci editore, 1975
Nell’introduzione
a questa straordinaria raccolta di racconti, pubblicata nel 1975 nella
prestigiosa collana “La biblioteca di Babele” edita da Franco Maria Ricci,
Borges scrive: «Sospetto che Papini sia stato immeritatamente dimenticato».
Così è, infatti. Del controverso, tormentato e prolifico autore fiorentino oggi
non si parla più, forse perché la sua opera investe tanto profondamente l’esistenza
da risultare troppo scomoda ed impegnativa, troppo intransigente e contraddittoria al tempo stesso, per nulla innocua. E questo, naturalmente, è un
vero peccato, perché Papini (1881-1956) fu, nel nostro Novecento, uno degli
ultimi scrittori posseduti ed anomali,
i cui libri sono la testimonianza di un’inquietudine continua, di una ricerca
che – se talvolta può apparire sopra le righe, o vòlta esageratamente alla
polemica, all’aggressione ed allo scandalo, e per questo facile preda di
abbagli e di clamorosi errori, pentimenti e conversioni – non può certo essere
disconosciuta nel suo autentico furore originario.
Lo specchio che fugge fa parte della
produzione del primo Papini e raccoglie
dieci, brevi racconti d’impronta fantastica, i cui personaggi si possono
intendere, come suggerisce Borges, quali molteplici proiezioni dell’io dell’autore.
Non si può non rimanere colpiti dalla genialità inventiva, dalla scrittura al
tempo stesso leggera ed incisiva, dal senso di perturbamento che si rinnova ad
ogni pagina, insieme a soprassalti ed angosce, interrogativi e paradossi,
verità sconcertanti e misteri. L’abilità di Papini nel trattare in modo
originale i temi del tempo, della morte, del sogno e dell’identità nei vari
brani è davvero sorprendente: le atmosfere dei racconti ci catturano da una
dimensione altra, capace di rivelare,
per enigma, i disagi e gli abissi dell’esistenza. È questo il Papini che
precede la conversione, che sarà annunciata con la pubblicazione della Storia di Cristo (1921). Le novelle sono
pertanto da collocare nel periodo della cosiddetta fame buia – come venne definito dallo scrittore – cioè nei tempi di
una irrequietezza dello spirito che appare senza sosta, alla continua ricerca di
una risposta che non c’è. E ciò che unisce i vari testi è proprio il senso del
mistero e l’impossibilità di cogliere la realtà vera nel suo complesso, in quanto risulta sempre sfuggente e
molteplice.
Vale la
pena accennare a ciascuno dei piccoli capolavori che compongono la raccolta.
Due immagini in una vasca è un apologo sul tema
del doppio e del tempo, in cui l’io presente uccide l’io passato perché non lo
riconosce più, ma esso rimane come fantasma insopprimibile.
Storia completamente assurda è un racconto
sull’incapacità di accettare il resoconto dettagliato di ciò che abbiamo
vissuto, la verità completa dei nostri pensieri e delle nostre azioni: una
giustificazione della finzione e dell’oblio per evitare lo spavento
dell’esistenza.
Una morte mentale narra di un suicidio
continuamente meditato e anomalo, un annientamento interiore e progressivo che
con la forza della volontà giunge al suo tragico (e liberatorio) compimento.
Nel
racconto L’ultima visita del Gentiluomo
Malato l’unica verità del mondo e di ogni essere umano sembra essere la
tragica inconsistenza del sogno. Emblematiche le parole del gentiluomo: «Io non
sono un uomo reale, non sono un uomo come gli altri, un uomo di ossa e di
muscoli, un uomo generato da uomini. Non sono nato come i vostri compagni;
nessuno mi ha cullato e ha spiato il mio crescere. Io sono – e voglio dirlo –
nient’altro che la figura di un sogno».
Il
desiderio di non essere più se stessi, con il proprio corpo e la propria anima,
è al centro di Non voglio più essere
quello che sono e adombra inaspettatamente una trasfigurazione, un
passaggio che sembra compiersi senza una vera percezione.
Chi sei? propone un’interruzione, un intervallo
di mistero e di solitudine, che improvvisamente sconvolgono la vita del
protagonista, la cui identità sembra perdersi nel nulla.
Nel
racconto Il mendicante di anime vi è
la scoperta, da parte del narratore, dell’esistenza del cosiddetto Uomo Comune,
«pauroso e terribile nella incoscienza della sua incolore felicità».
Il suicida sostituto è la storia folle e
paradossale di un uomo che a trentatré anni decide di uccidersi al posto
dell’io narrante che non osa farlo e che egli vuole salvare da una vita vuota,
inutile e senza più alcuna ambizione.
Nel
racconto che dà il titolo alla raccolta, l’esistenza è intesa come attesa
continua di qualcosa che s’allontana sempre più, di un futuro che in realtà non
esiste come futuro, ma come creazione e parte del presente.
Il giorno non restituito narra di un sortilegio
basato sul prendere e concedere in prestito il tempo, ovvero gli anni della
gioventù, per allontanare l’angoscia della morte, mediante un contratto
destinato ad una fine imprevedibile.
Da
leggere assolutamente (o da rileggere), queste storie di Papini sono la
conferma (oggi ahimè poco condivisa) del valore che può assumere il racconto
breve fantastico, o visionario, o immaginifico che dir si voglia, se scritto da
un autore davvero valido, ed essere così una narrazione capace di sorprenderci e di interpellarci su
quanto di misterioso e di inquietante fa parte della
nostra esistenza.
Mauro
Germani