giovedì 29 settembre 2022
Giovanni Nuscis: recensione a "Tra tempo e tempo"
Ringrazio di cuore Giovanni Nuscis per questa sua bellissima recensione pubblicata sul sito "La poesia e lo spirito": QUI
mercoledì 28 settembre 2022
Tiziana Bracci - Riflessione su "Tra tempo e tempo"
Ringrazio Tiziana Bracci per questa sua bella riflessione sul mio libro "Tra tempo e tempo", pubblicata su Facebook.
lunedì 19 settembre 2022
Tiziana Bracci - Le scarpe del Papa
Tiziana Bracci, Le scarpe del Papa,
Readaction Editrice, 2022
Una vita che sembra un romanzo e un romanzo che è un insegnamento di vita. La vicenda di Ivana Silvestri Cella è narrata da Tiziana Bracci con una sensibilità particolare, attenta a cogliere nell’esistenza della protagonista i segni, più o meno palesi, di «un’anima in cammino», nella consapevolezza che «nulla accade per caso» per coloro che hanno «occhi vigili». In effetti, Ivana Silvestri Cella rivela, fin da bambina, una «spiccata intelligenza», una straordinaria attitudine all’osservazione, sostenuta da «una vivace memoria fotografica: tutto passava attraverso la sua camera oscura per essere cristallizzato e, al momento giusto, portato alla luce».
A Montecatini, il negozio di calzature del nonno Veneziano Papini, dove il padre di Ivana, Renzo Silvestri, andò a lavorare, sarà per la protagonista la prima, incancellabile tappa di un percorso in cui sogni e progetti, non immuni da fatiche e delusioni, verranno poi premiati da incontri provvidenziali, scelte coraggiose, capacità di scartare l’inutile e succhiare «il nettare necessario». E proprio le scarpe del Papa si configurano così come il simbolo centrale di un legame particolare, di una relazione con il mistero e lo spirito, quel «filo di unione» che Ivana cercherà sempre di tenere ben saldo. La confezione delle «preziose “marocchino rosse con le fibbie d’oro”, specialità del negozio, consentirà infatti a Ivana di entrare in contatto con l’ambiente del Vaticano e, in modo particolare, con monsignor Montini, futuro Paolo VI, importante figura di riferimento per la protagonista. I continui spostamenti e viaggi che porteranno Ivana in diverse località, tra cui Firenze (dove studia al Grenoble e al British), Londra (dove instaura importanti amicizie), Parigi (dove viene assunta dall’atelier Bailmain), Roma (dove prima lavora presso l’ufficio delle pubbliche relazioni dell’Ambasciata Americana, poi apre un suo atelier nella centralissima via Gregoriana e successivamente diventa direttrice presso Driamar, negozio per bambini), Montreal (dove viene accolta dal console italiano, affezionato cliente di suo padre), New York (dove viene convocata dalla casa di moda più prestigiosa d’America, la “Donald Brooks”, e dove conosce il generale Richard Thomas Cella, che sarà poi suo marito), Miami (dove scompare nel settembre 2020) sono la testimonianza di una tenacia costante, di una ricerca coraggiosa della realizzazione di sé, mai aggressiva, e anzi sorretta da una spiritualità che non dimentica la richiesta dell’aiuto divino («Signore, salvami!»), nella ferma convinzione che «se le vie del Signore non seguono la logica umana non è colpa del Signore ma della limitatezza della logica umana».
Dalla lettura di questo libro comprendiamo come Ivana abbia saputo conciliare le proprie legittime ambizioni di donna imprenditrice con i valori forti in cui credeva. La sua storia non è solo un esempio di emancipazione femminile coronata infine dal successo («chi l’ha detto che un cervello maschile funzione meglio di uno femminile?») ma anche di una rara capacità di riconoscere i propri errori come «necessari passaggi per progredire». Cuore e ragione sembrano trovare nella vita di Ivana Silvestri Cella una sintesi perfetta, in cui «il coraggio del fare» pare la conferma dell’evangelica parabola dei talenti.
Ma chi è allora il vero protagonista
di questa storia? Un disegno del cielo oppure «il tracciato di una mappa scritta
da un impenetrabile mistero?». L’autrice Tiziana Bracci lascia aperte le domande
al lettore, ma fornisce anche alcune riflessioni che conferiscono un valore
aggiunto alla storia narrata: «Le esperienze fatte nella vita non sono, per se
stesse, né negative né positive. La relazione che abbiamo con esse le rende un
problema o una risorsa». A ciò si aggiungono le parole di Ivana: «Nell’analizzare
la mia vita ho capito che a contare non è stato il lavoro, ma l’opera sublime
della natura che ha scavato in me, mostrandomi l’invisibile: l’anima umana».
Forse proprio in questo è racchiuso il segreto di Ivana Silvestri Cella. Quel
segreto che, ovviamente, è rappresentato anche (e soprattutto) dalle «marocchine
rosse con le fibbie d’oro»: le scarpe del Papa.
Mauro Germani
martedì 13 settembre 2022
Francesca Rita Rombolà recensisce "Tra tempo e tempo"
Ringrazio di cuore Francesca Rita Rombolà per questa sua recensione al mio libro "Tra tempo e tempo" (Readaction, 2022), apparsa sul sito PoesiaeLetteratura: QUI
lunedì 5 settembre 2022
Loretto Rafanelli - A ogni stazione del viaggio
Loretto
Rafanelli, A ogni stazione del viaggio,
Jaca Book, 2021
Un viaggio di soste per meditare tra le ferite e lo stupore del tempo, tra la storia e il suo mistero, alla ricerca di un respiro più grande, di uno sguardo di compassione, anzi di comunione, verso la complessità della vicenda umana.
In quest’ultima raccolta di Loretto Rafanelli è possibile cogliere le vibrazioni di una parola poetica che si fa incontro, che «conta le pause delle notti,/guarda l’eccedenza e i grani/del raccolto, quell’atto dell’incontrare/ o l’estrema solitaria/oscurità». Si tratta di un andare nel tempo, nel suo «scorrere malato», nel suo pianto, accompagnato però da uno sguardo che affratella, da un sentimento che non si restringe su sé stesso e si appella alla vita di tante vite. Ecco allora il mare che unisce i bambini e i nomi dei vecchi nel suo respiro, i ricordi come passaggi «nel fiato della vita», «un precipizio di fosse» che si trasfigura in una visione di «linee biancastre e levigate tra il teatro e il cielo». C’è ovunque un anelito che «parla con il seme della carità,/nella vena del tremore», che cerca di non soccombere «alle tante linee dei naufragi», e intende conservare «il filo delle parole» come il lume vivo di un inizio. Per avvertire ciò che fugge e tenere in noi il senso del mondo, nel crocevia che ci attende «a ogni stazione del viaggio», occorrono alfabeti speciali. Emblematico, in questo senso, è il rapporto tra padre e figlio che si configura come dono, promessa, continuità, volo infinito.
Nei versi di Loretto Rafanelli la ricerca del respiro – di cui si è fatto cenno all’inizio di questa nota – segna una continuità profonda e tocca «il vertice e il vortice/ della speranza e della fine», il vertice delle congiunzioni, come indica il titolo di una poesia dedicata a Mario Luzi, nella quale si può ravvisare un richiamo a quel volare alto della parola, tra nadir e zenit, che cantò il poeta fiorentino, pensando al «celestiale appuntamento».
Di particolare bellezza risulta poi la poesia La luce dell’acqua, dove il fluire del tempo, dalle memorie personali del poeta legate al fiume Reno, a quelle di tante altre esistenze, con i loro «racconti,/canti e respiri», assume una dimensione ulteriore, in cui la vita diviene traccia d’infinito, preghiera, dono, respiro, labirinto, precipizio, destino, Arca divina.
La partecipazione al dolore altrui – si
vedano, ad esempio, le poesie che riguardano Anna Acmatova, oppure l’uccisione
nel 2014 di quarantatré studenti, che contrastavano la delinquenza organizzata
e il regime corrotto in Messico, o ancora Valeria Solesin, che morì
nell’attentato terroristico al Bataclan di Parigi – non è mai disgiunta da una
profonda pietas, dalla consapevolezza
di una verità da reclamare nel buio della storia e oltre. Ciò che colpisce
nella poesia di Rafanelli è proprio il valore della testimonianza, sia essa
riferita alla cronaca quotidiana o alla profondità dell' intimo sentire:
luoghi, paesaggi, voci, ricordi sono quell’alfabeto della vita che la parola ha
il compito di custodire, perché «è necessario/incalzare di luoghi, di amori,/di
carità, di perdoni,/le linee della vita».
Mauro Germani
giovedì 1 settembre 2022
Michele Caccamo - Le sacche della rana
Nel poemetto su Pier Paolo Pasolini Le sacche della rana, la voce del poeta
Michele Caccamo è avvolgente, ha un respiro di molti respiri, un ritmo che si
consuma e si rigenera continuamente. I versi si stagliano come immagini tra
dissolvenze, come scene di un film interiore eppure materico, che
miracolosamente appare.
Qui troviamo l’anima di carne di
Pasolini, i suoi fuochi, le sue contraddizioni, la sua fragilità e il suo
tragico destino. Troviamo l’impetuosità dei sentimenti, quelli che assalgono
tra speranza e disperazione e che non danno tregua, nell’urgenza di una sfida
che è anche sacrificio. Casarsa, Sacile, Roma, Ostia sono alcune delle tappe di
qualcosa di ben più vasto, di una storia che dice sé stessa per dire la sua
passione travolgente, di un’esistenza divorata da una fame insaziabile. Il
rapporto esclusivo con la madre e quello conflittuale con il padre, il dolore
per la tragica morte del fratello Guido, gli incontri con i ragazzi di vita
s’intrecciano con i pensieri e i sentimenti di Pasolini al di là di ogni facile
retorica.
Ciò che colpisce è invece la verità
scomoda della poesia, come via alternativa per parlare di un personaggio non in
modo semplicemente biografico, ma sofferto, visionario e, al tempo stesso,
puntuale. È infatti questa la scommessa poetica vinta da Caccamo, in quanto il
lettore percepisce, a ogni pagina, la concretezza e la fisicità dell’anima
pasoliniana, il suo dibattersi estremo. Così la furiosa dolcezza e la
solitudine esistenziale e politica di Pasolini si scontrano inevitabilmente con
un’Italia in trasformazione, votata a una deriva antropologica e sociale
inarrestabile: quella dei polli d’allevamento del consumismo («Carosello era
Gesù che moltiplicava il consumo e diceva è finita la penitenza è ormai tutto a
portata di mano»), di una sacralità smarrita («Paolo VI disse che la gente non
sapeva più che farsene della Chiesa perché era diventata un folclore un
qualsiasi prodotto tenuto fermo sul mercato») e di un potere feroce e assassino
(«io so conosco i mandanti»). E poi il racconto, a frammenti, tesissimo,
trepidante, di quell’ultima notte, come un giallo davvero troppo complicato e
troppo semplice, Pino con «la camicia annerita dagli scappamenti delle auto»,
la cena in trattoria, Ostia «piena di fosse di rane», Pasolini disperato,
tenero e fragile, il mare che «rotolava aveva freddo», quell’amore pagato e
massacrato, e infine Ninetto chiamato per il riconoscimento e che «stava per
perdere i sensi».
Un destino che grida come una domanda o
una preghiera spezzata. Perché forse Pasolini continua a essere ucciso e la sua
morte, il suo strazio non sono finiti. E questo non solo a causa dei troppi
interrogativi irrisolti circa il suo assassinio, ma anche perché egli è stato
l’ultimo grande intellettuale che abbiamo avuto. Dopo di lui, il nulla.
L’agonia di Pasolini è oggi nella resa all’orrido che viviamo, come afferma
Michele Caccamo.
Mauro Germani