domenica 26 marzo 2017

Poesie da "Voce interrotta" e fotografie di Marco Turolla

                                      



Come fossero ancora le cose
come mi avessero ancora
nel loro destino
muto
nella mia infanzia tagliata.

Come fosse tutto
per qui
per questa casa
strappata alla vita.









                                                      

Mi sono dimenticato
sul tram
e adesso non so
dove andrò,
non so la città
che proclama
la vita.

Sparirò nelle luci
di tutte le sere,
nel cielo
di tutti gli specchi.

Sarò un secolo
che ha perso
il suo nome.







   
Quelli che cadevano dai tetti
o dai balconi
in silenzio
come ombre innamorate
del vuoto,
fin dove il buio, fin dove
i miei sogni d'infanzia,
i miei occhi chiusi
senza chiedermi perché 
come fosse normale
per me
per loro                               

precipitare così
sempre più giù
sempre più
lontani
in quel volo
fra tutto e                                                 
niente
in quella caduta
infinita
dalla casa di fronte.                                   
    





        


Solo così fu l'impossibile
solo così parlasti
tra i binari e il tempo
senza partire
e nemmeno restare.
Solo così Milano divenne
la pioggia intermittente
sui neon, solo così
la voce si schiantò
nell’aria fredda delle
scale, nei marmi grigi
della stazione.







    





Questa fanciullezza dei morti
come un vento lieve
che passa tra i boschi,
o l’eternità
muta del cielo insieme
agli anni, a tutti
i ricordi come
nuvole disperse,
ai passi
quasi a mezz’aria,
senza più carne,
soli
sul breve sentiero.





Mauro Germani, Voce interrotta, Italic Pequod 2016
Fotografie di Marco Turolla (diritti riservati)




domenica 5 marzo 2017

Georg Trakl e la terra della sera


"Non ho altra scelta se non il dolore", scrisse Georg Trakl (1887-1914), nella cui opera è presente il segno lacerante della catastrofe epocale (la crisi  della vecchia Austria prossima allo sfacelo) e del proprio sradicamento, la consapevolezza di un mondo alla deriva e di una solitudine estrema, marchiata irrimediabilmente dall'infelicità e dalla colpa. E la parola poetica assume su di sé il negativo della perdita e della mancanza, il buio della sera ed il commiato del distacco, nella terra marginale di chi è sempre straniero, sempre errante e lentamente si allontana.
In Trakl - il più grande poeta di lingua tedesca del Novecento, come lo ha definito Claudio Magris - tutto questo avviene tra le ombre ed il baluginio dell'Abenland, ovvero la terra occidentale del tramonto, in cui regnano il lutto e la desolazione della rovina incessante. Tuttavia l'oscurità dominante sembra attendere un passo ulteriore dal viandante, un congedo ancor più definitivo: è il cammino del dipartito, di colui che - secondo Heidegger -  è alla ricerca di un luogo originario perduto, una terra in cui "abitare poeticamente".
Nella poesia di Trakl, però, non c'è un approdo definitivo, né una netta conversione del negativo in positivo, in quanto la meta attesa oltre la cosiddetta terra della sera non è mai raggiunta e tutto è frammentato e tende ad oscillare in una dimensione incerta, contraddistinta più che altro da momenti di dispersione e di privazione, che esprimono la nostalgia di un'unità perduta, di una totalità infranta. C'è dunque il segno inequivocabile della caduta, della lacerazione, dell'abbandono, la coscienza infelice di un'infanzia che tutto precede e fonda nel suo dissonante esserci, di un cammino tragico, di un peregrinare nell'ombra e nella solitudine, alla ricerca di ciò che è oltre la dissoluzione della parola e del mondo, al di là del frastuono del tempo, dell'insensatezza, dell'impossibilità di amare e di una vera comunicazione tra gli esseri umani. E in questo scenario cupo e dolente, il dramma di Trakl diviene - come ha scritto Roberto Carifi - "canto che dice la malattia dell'essere, che assume la sessualità come luogo simbolico e metaforico di una ferita insanabile, di un corpo appestato di malinconia".
Tutto è ferita e destino in Trakl, qualcosa di estremo e di lancinante ne segna la breve esistenza e l'opera poetica: il suo permanente dissidio interiore, l'esperienza fatale dell'infanzia (di cui sono espressione i fanciulli solitari dei suoi versi), il rapporto con la sorella Grete, la disperata solitudine, l'attrazione verso le prostitute più povere ed infelici, l'assuefazione alle droghe, lo scoppio della guerra e l'orrore della carneficina di Grodek, infine il manicomio. Se da un lato non si può non tener conto di tutto questo ed in particolare dell'amore incestuoso che il poeta ebbe per Grete e che segnò senza scampo l'esistenza di entrambi (lui morì per una dose eccessiva di cocaina nell'ospedale psichiatrico di Cracovia e lei si tolse la vita con un colpo di pistola tre anni dopo la morte del fratello), dall'altro la vicenda privata di questo "peccato di sangue" (Blutschuld) va oltre la dimensione privata e si trasfigura in un pensiero intorno all'essere e alla sua caducità, in cui la dolcezza dell'infanzia appare sovrastata dall'ombra della rovina e della colpa ed anche la parola sembra essere inferma, immersa in atmosfere di dissoluzione, all'interno di versi irrelati, frammenti di una scomparsa o forse di un nuovo indicibile linguaggio.
Mauro Germani

da Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei, La Vita Felice  2014