mercoledì 22 febbraio 2023

Luca Lanfredi - Ogni volta il bene è nuovo

 


Luca Lanfredi, Ogni volta il bene è nuovo, Lamantica Edizioni 2022

C’è come un se sottinteso in questo ultimo libro di  poesie di Luca Lanfredi, dove ciò che è ipotetico assume una dimensione ambigua, doppia, di realtà e di irrealtà insieme. Un se che irrompe nel quotidiano e nella parola, tra pensiero, volontà e immaginazione, per colmare una perdita e pronunciare una richiesta d’appello ai bordi dell’impossibile («Si può parlare adesso e non sei qui»). Un se che vive in un desiderio di tregua, di cammino nuovo insieme a chi non c’è più, nel movimento dell’esistenza, la quale è comunque altro e di più rispetto alla scrittura («da un lato chi scrive, dall’altro / la vita che, in ogni caso, è / un rigo nero nel tempo»). Un se che è un’ipotesi di vita ulteriore, un ritorno di frasi, di respiri, di atti in una prospettiva di memoria, che cerca una comprensione, un’appartenenza, una condivisione («Abbandonare qualcuno, / poi ritrovare qualcuno»). 

Ed è proprio il desiderio di ritrovare, di rivivere per vivere, che affiora dai versi di Luca Lanfredi. Perché la coscienza  di ciò che è perduto risale dai giorni, dai gesti, dagli incontri, come un rimpianto, o un rimorso mai sopito («Provare un senso di colpa / verso i morti. Come una carta / da pacco che si lacera, / come uno scoppio, o un istante / che implora»), o come un’esigenza di rinnovamento («Lambirsi, conoscere, trovare un / nuovo volto al breve movimento / che segue la partenza»).

In questa oscillazione temporale, in questa discrasia dell’esistenza troviamo allora la vibrante essenza della poesia di Lanfredi, con il suo trascolorare di piccoli eventi, di frasi appena sussurrate, di indizi che raccontano un ossimoro, un’assenza sempre presente, oppure una presenza sempre assente. La realtà accaduta trasforma la realtà che accade, e viceversa, ma non per un gioco poetico, per un illusionismo di carta, ma per un impulso esistenziale, «oltre la gentilezza della pena».

Rispetto alle prove poetiche precedenti, si ravvisa qui la volontà, da parte dell’autore, di cercare una via, oltre la solitudine o lo smarrimento, nella consapevolezza che – come afferma una voce –  «“Passo dopo passo avremo allora / un luogo che ci insegue / e ognuno uno sguardo capiente / per includere il proprio destino”». E c’è soprattutto il riconoscimento sommesso di un debito nei confronti di chi è scomparso (il libro è dedicato al padre), insieme alla comprensione del valore del silenzio («Tacere è come l’arte del sorriso») e alla convinzione che la vera poesia non è mai esibita, ma è nascosta nel segreto dell’ esistenza («E vorrei poterti dire: chi non scrive / è un poeta»).

L’andamento dei testi è dato da una serie di dissolvenze incrociate, di rapide sequenze di ambienti, di paesaggi, di voci, come in un film il cui montaggio ribalta continuamente i piani temporali e i punti di vista. Ecco allora piccoli ma improvvisi movimenti, lacerti di dialoghi, congedi che paiono ritorni, domande che sembrano risposte, intenzioni immaginate o ritrovate, ricordi come promesse («Dovresti avere nel sogno un cammino / come un cuore di vento che moltiplica»), fino alla poesia che conclude la raccolta in modo nitido e sorprendente, con la memoria che riporta la figura del padre che, affacciato alla finestra,  dona «il pane / sorridente / verso la buona fame degli uccelli».

E forse questa gratuità che vuole saziare un bisogno innocente può gettare una luce, a ritroso, su tutti i testi precedenti. Il se sottinteso a cui si accennava all’inizio si può allora comprendere come l’ipotesi di una disciplina, un’eredità da custodire e da rigenerare, pur nella «realtà del vuoto», perché ogni volta il bene è nuovo.

Mauro Germani

lunedì 6 febbraio 2023

Domenico Notari - 9, la rabbia del rivale

 


Domenico Notari, 9, La rabbia del rivale, Castelvecchi 2018

C’è una doppia narrazione nel romanzo di Domenico Notari 9, La rabbia del rivale: quella della seconda metà del Settecento e quella degli anni Settanta del Novecento, che – come in un gioco di specchi – si riflettono fino a confluire magicamente una nell’altra, aldilà di ogni barriera temporale. Grazie alla mirabile fluidità della scrittura e alla sapiente struttura del romanzo, i personaggi sono destinati a incontrarsi, in un confronto che per il lettore vuol dire curiosità e partecipazione, pagina dopo pagina. 

La storia dell’architetto settecentesco Mario Gioffredo e del suo nemico Luigi Vanvitelli, a cui è ingiustamente attribuito il progetto della reggia di Caserta, si unisce a quella del giovane Silvestro Donnarumma, assistente universitario nella Napoli del 1976. Quest’ultimo, infatti, decide di partecipare al concorso per assistente ordinario presso la Facoltà di Architettura, ma i suoi studi e le sue ricerche intorno alla misteriosa sparizione dei disegni del «perdente» Gioffredo – di cui intende rivalutare l’opera, ricordando le parole di Elio Vittorini, secondo cui «gli uomini restano inappagati e invendicati, se qualcuno non li trasforma in memoria» – suscitano le ire del professor Scarpati, accademico santoficcóne (con «la sua giacca di tweed, un paio di pantaloni di velluto e un paio di polacchine accordati ai colori dell’autunno»), tipico esponente di un periodo fortemente ideologizzato e infestato dagli atteggiamenti alla moda e opportunisti di certi intellettuali.  Così le falsità, le ambizioni e le rivalità dell’ambiente universitario (si veda la figura del fàuzo Egidio Di Salvo, collega di Donnarumma, con il suo «sguardo borioso e pavone, i baffetti distesi e priàti» e la sua Montblanc Boheme che sprigiona «lampi preziosi»), si sovrappongono, nel clima di violenza estremista del tempo, alle passioni, alla sete di gloria, alla corruzione e alla slealtà dei tempi di Carlo di Borbone e di Ferdinando IV. 

Notari è molto bravo nel delineare con efficacia, e spesso con ironia, i caratteri dei personaggi, e nel descrivere i vari ambienti della vicenda. Con taglio che si potrebbe definire cinematografico (perché, infatti, non trarre un film, da questo romanzo?), i vari scenari ci vengono incontro con la naturalezza delle luci, dei colori e delle situazioni che li animano: piazze, vie o viuzze, case popolari o palazzi, porti trafficati o marine solitarie, volti o corpi, cibi esposti o cucinati risaltano sulla pagina con grande vividezza, e sempre a sottendere l’anima dei personaggi, la loro ansia o la loro malinconia, la loro rabbia o la loro ipocrisia, la loro solitudine o il loro desiderio d’amore (come la tenera Teresella, moglie di Gioffredo, «esperta di piccole e domestiche magie»). Ecco allora la Napoli che palpita, che freme, che sogna, ma anche quella della corruzione, dei troppi padroni stranieri, la Napoli che per Gioffredo è simile a «una donna formosa e seducente pronta ad andare con tutti». È la città che Donnarumma  scopre con le sue ricerche e i suoi studi, ma che in fondo sente ancora attuale. E come non pensare, anche noi, alle invidie, alle gelosie, alla smania del successo, ai favoritismi e alle consorterie di ogni genere, che ancora oggi imperversano in vari ambiti? O alle mode culturali, di cui sono espressione sedicenti artisti o intellettuali? 

Il romanzo di Domenico Notari si rivela un’opera dinamica e vivace, ma al tempo stesso composita e stratificata, caratterizzata da una suspense crescente, che deriva dall’astuto piano di vendetta che il giovane Donnarumma, cane sciolto non intrappolato in schematismi ideologici, elabora nei confronti del professor Scarpati e del suo collega Egidio Di Salvo: sono pagine che si leggono con il fiato sospeso e che riservano non poche sorprese. Inoltre le espressioni gergali e dialettali, disseminate nel testo, non appesantiscono mai la narrazione, anzi la rendono mobile, realistica, ricca di sfumature, all’interno di una cornice storica ben curata e precisa, che certamente deve aver richiesto all’autore lo studio scrupoloso e attento di un’ampia documentazione.

Mauro Germani