Scipione (Gino Bonichi), Le stelle cadono accese, Raffaelli
Scipione - Apocalisse (Il sesto sugello)
Scipione - Gli uomini che si voltano
Versi tra luce e buio, quelli di Scipione (Gino Bonichi, 1904-1933).
Parole che dicono epifanie misteriose,
attese dentro la terra e colpite dal cielo, carni che cercano sorgenti e
lievitano nel mondo.
Dieci poesie che s’innalzano e che
scendono, come in un’apocalisse quotidiana e segreta. Segreto che
avvicina il segreto, il fiato dell’uomo e della notte, quando “le stelle cadono
accese”.
Versi segreti, appunto, detti nella
visione, nella meraviglia febbricitante, nella consapevolezza che "la
terra ha tutti i nascondigli", nella malattia che cerca redenzione. E al
pari di ogni cosa il poeta attende, "abbacinato / come un foglio
bianco", così come il cielo è "in attesa / dei gridi che lo
squarciano". Natura che è carne, che respira, che è fuoco ed ombra.
Scipione: pittore della cosiddetta
“Scuola Romana”, di quella luce che sa di terra rossa, di rivelazione sensuale
e mistica, che sbava sulle cose e sui volti. Pittore estremo e
poeta estremo, perché così dev’essere l’arte vera, quando tocca la
terra e al tempo stesso cerca l’aldilà e lo chiama, in un’estasi ferita, nell’abbandono.
“Tutto ci abbandona a nostra insaputa” – scrive Scipione, consapevole del
miracolo e della perdita, dentro la carne ed oltre.
Vita brevissima, segnata prima dalla
pleurite, poi dalla tubercolosi, ma soprattutto da un’urgenza irrefrenabile
di avvicinare i confini, di darsi interamente all’arte e ai suoi
agguati, come fosse sempre l’ultima volta. Ansia di assoluto e di
riscatto, sull’orlo di un precipizio, mentre “la folgore scrive nel cielo / i
caratteri di Dio”.
Senso religioso, o
addirittura non senso religioso, a dire l’attesa,
l’enigma, “la notte nera e perversa”, quando la terra è secca e ha sete, vuole
bere, “ché vuol peccare / e farsi perdonare”, oppure quando "le civette
gridano, tutto si muove / e l'angoscia riempie l'aria / di inquietudine".
Poeta inclassificabile, come
scrisse Amelia Rosselli nell’introduzione al volume Carte segrete,
edito da Einaudi nel 1982: e proprio inclassificabile è in
fondo la poesia che non vuole essere da salotto, né tanto meno
da esibizione (come spesso accade oggi), perché unicamente
mossa dall’esistenza che la scuote.
Dieci poesie da leggere e rileggere
trattenendo il respiro, in ascolto, in punto di – come per essere
afferrati dai versi, e poi cambiare e sparire, in questa sobria ed elegante
edizione contenente anche alcuni dipinti di Scipione ed una interessante ed
incisiva prefazione di Davide Brullo, il quale avverte che “si
scrive sempre da un deserto fuori dal tempo […], un quartiere prima della morte”.
Mauro Germani