Quando si è malati, si è più veri. La malattia sorprende la nostra clandestinità.
Cerchiamo di ritornare, ma non sappiamo dove.
Noi abitiamo l’Occidente, questa terra del tramonto, del cammino che si inoltra nel buio; questa terra dell’addio, del passo straniero che va incontro alla notte; questa terra sospesa come un ponte sul nulla.
Forse bisognerebbe avere un unico pensiero e un’unica passione cui dedicare l’intera vita.
Un anonimo lettore sfoglia le pagine di un libro. Il suo volto è indistinguibile ed è solo circondato da un pallido alone. Enigmatici segni gli vengono innanzi e lo prendono. Che sta accadendo? Quale mondo lo chiama? E soprattutto chi c’era, chi è sparito con quelle parole ormai ineluttabili?
Forse la vera storia è un’altra. O meglio, non è solo quella dei grandi eventi di cui parlano i libri. E’ segreta, è quella delle nostre anime e dei nostri sogni, delle forze oscure dell’universo e dei morti. Ed è ben più terribile.
Pensare da molto tempo un sogno, trovare le parole in un volto.
Accade talvolta di avvertire l’angoscia di leggere: il testo diviene la cella di una prigione enorme da cui non potremo mai uscire e che coincide con l’universo.
La morte guarisce dalla malattia del tempo.
Dove sono io, la parola è già stata. Rimane un’eco lontana che mi prende l’anima ed io non riesco più a vivere, non posso che constatare il mio ritardo, riconoscere con dolore una perdita incolmabile.
Ci sono appuntamenti segreti a cui giungiamo troppo tardi. Ancora presi dall’affanno per la nostra corsa, riconosciamo improvvisamente il volto che da sempre avevamo cercato, la luce di quello sguardo che per lungo tempo era stata nei nostri sogni e ci aveva silenziosamente accompagnati. Ma la verità è che siamo stati vinti dal tempo, nessuno più si ricorda di noi, altri hanno preso il nostro posto, e non ci resta che constatare il nostro fallimento.
Chi è l’avversario della partita che stiamo giocando con sempre maggiore affanno? Ne avvertiamo l’oscura presenza, ma forse non esiste, e proprio per questo è ormai invincibile.
Le infermiere che vengono ormai da lontano, silenziose. I morenti sentono le loro mani nella notte, si lasciano prendere i sogni. Nel bianco dei camici vedono ciò che non sono mai stati. E una rugiada invisibile inumidisce le piaghe. Una dolce frescura parla finalmente di addio. Soccorrere quando è tardi, quando il mondo diventa sempre più improbabile … Che forse sia questo l’amore? Che lungo le corsie grigie (dove son testimoni fiochi lumi) non ci sia altro che verità? Che davvero non esista che un ospedale di confine, bianco e sospeso nella notte, ultimo, come parole dette in segreto?
Le parole d’un tempo, che tornano come fantasmi nell’ombra a dire tutta la nostra incompiutezza: perché il futuro sarà sempre questa impossibilità del passato, nient’altro.
Com'è, dov'è l'altro volto che non conosciamo? L’altra vita che non viviamo, ma che ci possiede? L’altra verità che non sappiamo, ma che è questa nostra carne ferita, questo nostro sangue straniero?