PRIMA DEL SILENZIO
Nelle raccolte successive al
libro pubblicato nel 2002, l'onda luminosa si ritira e la poesia di Mauro
Germani (1) torna ad aggirarsi in un orizzonte di tragico abbandono dove le
tenebre, come fossero catene, si avvinghiano all'io senza concedergli scampo;
essa torna, seppure con maggiore consapevolezza anche formale, al suo desolato
punto di partenza (2). Tra la speranza
e il nulla, è prevalso il nulla.
Preliminarmente, si rende
opportuno un accenno al linguaggio, che presenta ora una caratteristica nuova:
sfrondato, quasi scheletrico, tutto giocato sulla rifrazione di poche,
ossessive parole in cui sembra specchiarsi l'altrettanto scheletrica magrezza
dei versi. I quali oscillano, specie in Terra estrema e Voce
interrotta, fra le tre e le nove sillabe, con una prevalenza schiacciante
dei versicoli (3).
Come ha scritto Marco
Ercolani, il poeta evita con ogni cura di elaborare «una frase [...] troppo
articolata», quasi «non avesse neppure il tempo di pensarla. I versi brevi
stringono lettore ed autore nell'esiguo spazio di un respiro rauco, interrotto,
fra dolore e dolore» (4).
In effetti, qualcosa di
simile a un balbettio disperato sembra coagularsi «nella fredda fiamma / del
nulla / o più lontano in fondo / nel pozzo segreto / e senza nome» (5). In
questo affannoso vagare privo di scopo e di meta, con la mente offuscata e le
mani piene di mosche, sfugge talvolta al nostro poeta una confessione icastica,
la diagnosi lucida e spietata della sconfortante eredità di chi si scopre
orfano di Dio: «Com'è sola la carne / e noi assenti in lei / e lei nel mondo».
La carne, un termine
biblico che risuona senza interruzione dalla Genesi alle Lettere di san
Paolo (nel duplice significato di "corpo" e di "natura
umana"), e che non a caso appare con insistenza nelle pagine di Terra
estrema (6). Carne, ombra, mondo: ecco le parole
decisive intorno alle quali ruotano i versi di questo libro (7), «Verbo perduto
da Dio / verbo senza Dio / che nella notte chiama / e nessuno risponde, / grido
senza bocca / che nel deserto cerca / un cuore sepolto».
Affermando più sopra che il
linguaggio di Germani, dopo Luce del volto, denota un'asciuttezza
scheletrica, mi riferivo alle pagine in versi. Nelle brevi prose che figurano
in Livorno e Terra estrema (due sezioni in entrambi i libri) possiamo
invece constatare un'inattesa ricchezza cromatica, la quale viaggia di pari
passo con una più ricca varietà di toni. Vi si profilano anche frammenti di
vicende angosciose, sfilacciate (8), che il nostro autore riesce però a
tratteggiare senza la recente, ascetica parsimonia lessicale e sintattica. Ne
emerge un modello espressivo assai differente da quello all'opera nei versi.
Si prenda ad esempio in
esame quella che con ogni probabilità costituisce la più riuscita fra le
sezioni in prosa: Voci (9), un ciclo di sette componimenti che ci danno
la piena misura della versatilità di Germani. Pur mantenendosi fedele al suo
tema di fondo, il poeta innesta nel flusso verbale improvvisi e balenanti
riverberi, allusioni, figure simboliche, grazie anche al ricorso alla prosopopea,
espediente retorico che gli consente di far parlare in prima persona la Terra,
la Notte, il Vento, il Cielo, il Fuoco, la Neve e gli Animali. «Condanna
condanna dice il Fuoco, vi porto questa luce assassina, questa profezia senza
dio, questo dono strappato all'ignoto»: così inizia uno dei testi. Dice a sua
volta la Neve: «Chi mi contempla ascolta il canto dell'esilio, la musica senza
nome che è sulle labbra degli abbandonati, il battito sordo di un male
segreto». Qui il ritmo triadico delle proposizioni, già riscontrabile, con
esiti convincenti, in Una voce persa (10), si dispiega con uno slancio
pari alla suggestione delle immagini. Poesie in prosa nelle quali, a dispetto
di quel titolo, la voce di Germani è più che mai ritrovata.
***
Le ossessioni di un io
spettrale, quasi evanescente, ribadite attraverso la prosodia affannosa e
sincopata cui Germani ci ha abituati, tornano a galla tutte insieme per
incidere come una lama i versi di Voce interrotta. Il paragone più
calzante sembrerebbe quello col primo Ungaretti, se non altro per certi snodi
della versificazione (11).
L'impalcatura metaforica,
che appariva nettamente assestata nelle varie sezioni di Luce del volto
ed è andata attenuandosi nei versi dei due libri successivi, tende qui invece a
cedere e a sfaldarsi sul nascere, isolando in primo piano la testimonianza di
una disfatta esistenziale. L'io non ha perduto soltanto ogni coordinata
interiore, ma obbedisce all'esigenza di trasfondersi, nudo e crudo, in una
musica verbale che rifugga come indebito ornamento anche la meno elaborata
delle metafore. Ogni atto, ogni pensiero sfuma e si perde in se stesso, e prima
ancora nell'assenza di Dio (12).
In Voce interrotta fa
altresì capolino, fino a diventare una presenza significativa, la parola «impossibile»
(13), sia in veste di sostantivo che di aggettivo (14). Ma il paradosso è
questo: l'impossibile, pur rimanendo tale, continua a rivelarsi necessario.
Ripudiata infatti e allontanata da sé la radice trascendente di ogni esistenza,
l'io non smette di sanguinare. La rassegnata rinuncia al proprio fondamento
ontologico non gli impedisce di sussistere e di patire: «mio verbo ignoto, mia
febbre / sconsacrata». Il mondo, favola polverosa, è tutto racchiuso nella
parola umana che coincide con il lento implodere dell'io e delle sue vestigia,
ormai indecifrabili.
La mesta Livorno che
campeggiava nella prima sezione della raccolta omonima passa ora il testimone a
Milano: rinviando, di fatto, a un non-luogo, a un teatro di larve. Fra i vivi e
i morti viene meno all'istante qualsiasi distinzione sul piano
dell'essere. Dai ricordi materni e dall'infanzia remota, il corteo dei defunti
accompagna il cammino di un io inabissato nella consapevolezza dell'impossibile:
«Di chi è questa voce scritta / che ascolto, questo fiato / senza corpo, questa
/ febbre alta / che brucia nell'aria?».
Note
1) Mauro Germani, Luce
del volto, Campanotto 2002; Livorno, L'Arcolaio 2008; Terra
estrema, ivi 2011; Voce interrotta, Italic 2016. Germani, che è
anche narratore e critico letterario, ha fra l'altro pubblicato il romanzo Il
prescelto (Perdisa 2001) e Margini della parola. Note di lettura su
autori classici e contemporanei (La Vita Felice 2014).
2) Mauro Germani, L'attesa
dell'ombra, Schema 1988 (plaquette poi confluita in Luce del
volto).
3) Livorno presenta invece versi dalla
struttura più ariosa, tendenzialmente svincolata dal predominio della reiterata
brevità.
4) Marco Ercolani, L'abisso
e il dolore, in: Terra estrema.
5) Questa citazione da Terra
estrema, così come le successive, fanno parte dell'unica sezione in versi
della raccolta: L'ignoto sangue.
6) «È questo solo / lo
scandalo della carne, / l'enigma di ogni nome»; «È nel tuo viso /
nell'indicibile carne»; «Non so quale risorta carne / quale vita eterna»;
«nella luce e nella notte / della sua carne»; «ancora in questa / carne
fantasma / come una voce / prima del sonno»; «Questo continuo / perdere la
carne / come non fosse mia»; «È qualcuno il mio corpo / ignota carne»; «Quale
carne nella carne / essere dentro la pelle»; «Amputato corpo / è questa parola
/ viva carne / che palpita ancora».
7) La quarta parola,
«corpo», è qui una variante di «carne», un suo sinonimo.
8) A partire da Livorno,
lo «scacco nei confronti dell'esistenza si fa sempre più acuto [...] Non c'è nessuna
interezza ma solo [...] uno
smarrimento che include gli affetti, [...] i momenti di incontro e di
tenerezza, quando le parole diventano povere, non bastano più ed i gesti sono
sempre a metà, sempre incompiuti» (Conversazione con Gabriele Gabbia, in:
www.margo - scrittura, pensiero, poesia, 18/02/2018).
9) Penultima parte di Terra
estrema.
10) Prima sezione in prosa di Livorno.
11) Come in Indizi (XIII): «marciamo / nel
buio della / parola, noi / tutti / voi senza / poesia / noi soldati / senza più
/ ordini, / fantasmi / di tutte le / veglie». Le citazioni che seguono sono
tratte dalla prima e più ampia sezione della raccolta: Dissolvenze.
12) «brilleranno i morti /
come per gioco / [...] il cielo rovescerà / l'estate sui visi / [...] senza più
Dio».
13) Un termine presente fin
dall'inizio, con varie sfumature semantiche, nell'opera poetica di Germani.
14) «L'impossibile in quella
via / e le finestre ad una ad una»; «L'ho sentito qui / l'impossibile / tra il
petto e la gola»; «bocche spalancate / a chiedere l'ultima / impossibile voce»;
«la perfetta e impossibile / incarnazione, la frana / felice del mondo»; «Solo
così fu l'impossibile, / solo così parlasti»; «In te è l'impossibile / della
vita»; «È una parola / impossibile, un gesto / che salta le righe»; «[...]
tutto precipitò / nell'errore di una voce / impossibile».
Mario MARCHISIO (Torino, 1953-) ha
all'attivo svariate raccolte di poesie e di saggi dedicati alla letteratura,
all'arte e alla religione. Gli aforismi completi sono stati pubblicati
recentemente insieme a tutte le poesie e ai racconti nel volume La morte
attiva (Aurora Boreale 2018). Vedi la voce su: www.wikipedia