Andrè Pieyre de Mandiargues, Il museo nero, Bompiani, 1968
Con
questo suo primo libro, Le musée noir,
del 1946, André Pieyre de Mandiargues (1909-1991) consegna al lettore sette
racconti visionari e inquietanti, contraddistinti da una realtà metamorfica e onnicomprensiva,
una sorta di grembo ancestrale in cui
le differenze dei cosiddetti regni naturali sono annullate e tutto vive e
respira e uccide senza soluzione di
continuità.
Evidenti
sono gli influssi del surrealismo, di cui Mandiargues fu un esponente appartato
e originale, ma ciò che colpisce è la complessità della scrittura, raffinata e
barocca, capace di creare sulla pagina mutazioni
continue e progressive della narrazione, fino a confondere sapientemente, e soprattutto in modo lieve, quasi impercettibile, la
dimensione del reale e quella del sogno.
A
questo proposito, qualcuno ha parlato di Borges, ma l’accostamento risulta
fuorviante, in quanto la scrittura di
Mandiargues non ha nulla della sorprendente concisione borgesiana, inoltre è
caratterizzata da un profondo erotismo, che nello scrittore argentino è
completamente assente. Il connubio sogno-realtà sottende in Mandiargues
qualcosa di ben più oscuro e ingovernabile, in cui dominano pulsioni
primordiali che spesso si rivelano distruttive e autodistruttive.
Eros e
Thanatos qui muovono i personaggi, li spingono oltre la loro ragione in territori
sconosciuti per abbandonarli poi in quella zona
di pericolo in cui si compie il loro ineluttabile destino. Tutto concorre a
questo fine, a questo appuntamento incomprensibile,
che rende ogni personaggio in balìa di forze che non può controllare e che lo
determinano: figure femminili o dal sesso ambiguo, animali seducenti o
raccapriccianti, vegetali o addirittura costruzioni o luoghi che imprigionano i
sensi e la mente. E in relazione a esseri animali o semi-umani, dalla natura
conturbante o maledetta, si vedano – tra gli altri – il coniglio amato dalla protagonista
e il gregge destinato al macello in Il
sangue dell’agnello; l’uomo-caimano in Il
passaggio Pommeraye; il Gatto Mammone in L’uomo del parco Monceau; cavalli, cani e pecore nere in Pecora nera; le gigantesse, insieme a
scimmie e cocorite, in La tomba di Aubrey
Beardsley.
L’erotismo
in Mandiargues non è mai normale, ha
manifestazioni strane e imprevedibili, coinvolge e trasforma, cattura e
uccide, rivela una realtà altra e
misteriosa. Il desiderio travalica la mente, spinge i personaggi laddove non
c’è più protezione e regna il mostruoso:
ciò che viene definito umano rivela
così una doppia natura, una realtà
sconcertante o paradossale, dove il sangue e la pulsione di morte non sono mai
disgiunti dal piacere ricercato.
Ogni
avvenimento trascorre sulla pagina con la strana leggerezza ed evanescenza dei
sogni e talvolta pare proprio che lo scrittore si diverta a imprigionare il
lettore con la magia della sua narrazione, la quale è apparentemente innocua
perché il meraviglioso nasconde le
tenebre, il nero. Proprio come
succede ai personaggi dei racconti, il lettore viene sedotto e si ritrova al
cospetto di immagini e di situazioni che lo incantano e che sfumano
continuamente dalla cosiddetta normalità a una dimensione straordinaria e
feroce, senza via di scampo.
Mauro Germani