Thomas Bernhard, I miei premi, Adelphi 2009
Da
I miei premi di Thomas Bernhard, una
lezione di stile e di sincerità.
Leggendo
il libro, non si può non pensare alla natura della nostra società letteraria e
ai suoi rappresentanti, agli autori che ne fanno parte o che gravitano attorno
ad essa, agli editori che controllano il mercato delle pubblicazioni e delle
recensioni, ai premi e ai riconoscimenti di maggior prestigio che spesso vengono
spartiti tra i grandi gruppi editoriali e assegnati agli autori “amici”. Basta
infatti dare uno sguardo alle giurie dei principali premi di poesia per notare
che figurano spesso gli stessi nomi.
Bernhard
parla del suo tempo, certo, e delle sue esperienze col suo inconfondibile
sarcasmo e mette in luce tutta la miserabilità di quel mondo, che poi – a ben vedere - non è così diverso dal
nostro, dominato com’è dall’arrivismo e dall’ipocrisia di certi personaggi,
sempre più collusi col potere politico-editoriale, oppure devastati da un folle
e patetico narcisismo.
Che
dire, poi, dei vari gruppi, delle conventicole, dei circoli letterari, delle
associazioni, dei festival, dell’insopportabile alterigia dei cosiddetti
“puri”, dell’arroganza degli intellettuali o pseudo tali, abilissimi nel seguire le mode culturali del
momento, oppure della pochezza dei poetucoli o dei poetastri privi di
personalità, baciapile, portaborse, plagiatori patentati dei poeti affermati, o
ancora dei tanti poveri illusi e malati che si credono chissà chi e sperano che
apparire continuamente su facebook li faccia esistere e li porti
miracolosamente ad essere riconosciuti per il loro presunto valore? Tutta gente
destinata a sparire, a sprofondare nel nulla, insieme ai loro innumerevoli
libri, che andranno giustamente al macero. Siamo soffocati da pubblicazioni,
eventi, letture, che soddisfano solo l’insulso e spudorato narcisismo dei vari
personaggi che si mettono in mostra, capaci di andare ovunque pur di apparire,
in uno spettacolo indegno dove ognuno recita la propria parte e non ha il
minimo reale interesse verso gli altri. Restano montagne e montagne di libri,
di orribili trofei, targhe, diplomi, attestati, che starebbero bene solo in
un’enorme discarica.
Come
non riflettere, allora, sulla deriva della nostra società, sulla mancanza di
rigore da parte di tutti, sul patetico teatrino della cultura esibita nelle
varie manifestazioni, oppure – all’opposto - chiusa in se stessa, come fosse
appannaggio di una setta?
Come
non fare un bell’esame di coscienza e dire finalmente come stanno le cose?
Nessuno,
oggi, è esente da responsabilità, più o meno gravi.
Bisognerebbe
davvero cominciare ad azzerare i premi e fare un po’ di pulizia anche nelle
case editrici, nelle riviste, nei giornali, persino in alcuni blog, e denunciare
tutto ciò che non va, gli intrallazzi, i ricatti, le pressioni, le richieste di
favori in cambio di favori, riscoprire per un po’ il silenzio e pubblicare di meno. Ma forse è già troppo
tardi ed è impossibile arrestare un ingranaggio in moto da troppo tempo.
Ecco
alcune frasi tratte da I miei premi,
che meritano di essere citate:
“Credetti
di dover morire soffocato dall’equivoco che la letteratura fosse la mia
salvezza. Non volevo più saperne della letteratura. Non mi aveva reso felice,
bensì buttato dentro quella fossa soffocante e fetida dalla quale non c’è più
scampo…”
“Della
letteratura non volevo più saperne, io le avevo dato in pasto tutto quello che
possedevo e in cambio mi aveva buttato dentro quella fossa. Mi nauseava, la
letteratura, odiavo tutti gli editori e tutte le case editrici e tutti i libri.”
“Sul
palco mi porsero l’attestato del premio, di cui oggi non ricordo più che
aspetto avesse, non lo posseggo più come non posseggo nemmeno tutti gli altri
attestati dei premi ricevuti…”
“Sì,
dicevo io, ogni anno vengono cooptati nuovi coglioni in quel Senato che si
definisce Senato dell’Arte e nel nostro Stato rappresenta un male inestirpabile
e una perversa assurdità. E’ un consesso delle peggiori schiappe, un’assemblea
di canaglie, dicevo ogni volta.”
“Ma
i premi non sono affatto un onore, aggiungevo, gli onori sono soltanto
cattiverie, non esistono onori sulla faccia della terra. La gente parla di
onori e invece sono solo affronti, di qualsiasi onore si stia parlando,
dicevo.”
“…le
teorie letterarie sono rimaste per tutta la mia vita la cosa che ho odiato di
più, e più di ogni altra le cosiddette teorie del romanzo…”
“…odiavo
da sempre circoli e associazioni e più di tutto, com’è naturale, odiavo le
associazioni letterarie… Partiti e associazioni non si addicevano e non si
addicono alla mia mentalità.”
“Disprezzavo
coloro che distribuivano premi, ma non
respingevo in maniera tassativa quei premi. Tutto era repellente, ma più
repellente di tutto trovavo me stesso… Oggi per me la questione, semplicemente,
non si pone più, la sola risposta è non lasciarsi più onorare.”