Nel
«primo tempo» viene sottolineata da Antonio Prete la natura dialogica di ogni
ermeneutica, fondata sul domandare e sulla reciprocità, tanto che il testo
diviene «vivente e interrogante». Da qui l’importanza del dialogo tra poesia e
filosofia, nucleo del pensiero poetante di cui Prete si è fatto interprete, a
partire dai suoi studi su Leopardi. Di particolare interesse risultano poi le riflessioni
sugli intrecci tra critica e narrazione, al di là di ogni rigida classificazione
in categorie, perché in realtà ciò che è decisiva e centrale è l’esperienza
della scrittura nelle sue intrinseche possibilità.
Il
«secondo tempo» della conversazione unisce riflessioni e ricordi,
considerazioni su temi fondanti della scrittura e notazioni biografiche, in una
dimensione che non risulta mai puramente teorica, ma legata all’esistenza. Così
mentori e amici vengono nominati da Antonio Prete con stima e gratitudine:
Mario Apollonio, con il suo insegnamento secondo cui «il testo diventa vita in
colui che legge», poi, tra gli altri, Edmond Jabès, Mario Luzi, Yves Bonnefoy,
frequentati assiduamente a partire dai primi anni Ottanta, all’insegna dello
scambio culturale e del dialogo fecondo «con i modi e le forme e le invenzioni
che animano le loro opere».
Di
grande rilievo e spessore sono inoltre le osservazioni sul legame del silenzio
con la lingua: «un silenzio che è movimento verso il dire, attesa della
parola», presenza di un «tempo altro», che è ritmo proprio della poesia, «vento
segreto che trascorre nella frase poetica».
Impossibile
qui riassumere tutte le considerazioni presenti nel libro, ma vale la pena evidenziarne
ancora alcune di notevole importanza: la poesia intesa come «un pensare contro
l’oblio», secondo l’intuizione di Jabès, oppure come «sfida sul crinale tra
presenza e assenza, tra verità e finzione, tra visibile e invisibile». Non
mancano, poi, i riferimenti di Prete alla sue raccolte poetiche, nelle quali è
particolarmente sentito il tema della soglia del visibile e del dicibile, in
una tensione che coinvolge la parola nel
suo scarto «tra il dolore e la lingua, tra il respiro della terra e il dire
dell’uomo». Come afferma Carla Saracino, il lavoro poetico di Antonio Prete
pare contraddistinto da «un doppio passo», che è «vocazione interrogante» e, al
tempo stesso, volontà di «non tradire né scoprire»: è quanto emerge soprattutto
da Se la pietra fiorisce, che rimanda
al verso di Celan «È tempo che la pietra accetti di fiorire» e rappresenta
«l’ostinazione della vita, che rompe l’aridità, sfiora l’impossibile, si
afferma là dove è negata».
La
lettura di questa conversazione risulta illuminante per conoscere e
approfondire l’opera complessiva di Antonio Prete, docente universitario,
critico, narratore, poeta e traduttore; un’opera complessa e variegata, che si
pone «nel tragico mostrando l’al di là del tragico», interrogando «l’inferno di
un’epoca con lo sguardo verso uno spicchio di cielo» e con« il compito di chi
si trova ad aver rapporto con la scrittura e con le sue forme».
Dal tempo qui raccolto è
un libro raro, da custodire come un
dono prezioso, uno scrigno di domande, di temi e di riflessioni, frutto non
solo di un’incessante ricerca intorno alla scrittura, al pensiero e
all’esistenza, ma anche di una testimonianza intellettuale che si configura
come ascolto, accoglienza e incontro.
Mauro Germani