In
quest’ultimo libro di Gianfranco Fabbri riscopriamo il gusto novecentesco del
frammento, della prosa breve di memoria, dell’annotazione lirica, del lampo
improvviso del pensiero, mai scissi dall’esistenza, ma inevitabilmente segnati
dai dubbi, dalle perplessità, dagli smarrimenti del nostro essere nel mondo.
Il
volume è infatti una miscellanea di ricordi, riflessioni, suggestioni e
intuizioni che risalgono agli ultimi quattro anni del Novecento, contrassegnati
da una scrittura di rara grazia, cesellata nella sua sobrietà ed eleganza, e
tuttavia mai artificiosa, anzi autentica nella sua concreta testimonianza
poetica. Sì, perché questo è in fondo un libro di poesia, in cui riconosciamo
la voce del Fabbri autore di sillogi come Davanzale
di travertino (Campanotto, 1993), Album italiano (Campanotto, 2002) e Stato di vigilanza (Manni, 2006); una
voce – come ebbi modo di scrivere - che “accompagna
e scandisce il viaggio enigmatico dell’esistenza”, in cui “è possibile
rinvenire una sorta di topologia
dell’anima, di evocazione di paesaggi, oggetti, simboli, […] come
fotogrammi da custodire prima della loro inevitabile scomparsa” (AA.VV., D’un sangue più vivo. Poeti romagnoli del
Novecento, a cura di Gianfranco Lauretano e Nevio Spadoni, Il Vicolo
Editore, 2013, p. 162).
In
un tempo come quello presente, in cui prevalgono opere che sono soltanto esercizi sterili, prive cioè di una
profonda relazione con la nostra condizione esistenziale e scritte senza una
vera necessità, il libro di Gianfranco Fabbri si pone in senso
opposto, ed è come una ventata fresca nell’asfittico luogo della scrittura
contemporanea.
C’è
in queste pagine la volontà di comprendere la realtà con uno sguardo attento al
dettaglio, alla folgorazione improvvisa che poi viene meditata, quasi a
cogliere di soppiatto non solo il mondo, ma anche il proprio io, certe
inclinazioni, certi atteggiamenti, certi soprassalti, che vengono scoperti con
una forma di intelligente ed interrogante pudore, di stupita sensibilità.
Mirabili,
in questo senso, alcune prose come quella che ricorda la febbre “come un’intima
festa” vissuta dall’autore da piccolo, o
come il sogno raccontato in Sotto
l’impressione di una musica celtica, brano di grande suggestione, in cui la
dimensione onirica trova la cenere dei morti, “minuscoli esserini” , ormai
irriconoscibili, a bordo di barchette ,
con addosso “un mantello di velluto che
copriva le loro spalle: come una specie di divisa”.
Interessanti,
poi, le riflessioni sull’atto misterioso dello scrivere, che sono rivelazioni
di poetica da parte dell’autore. Si veda
il brano relativo all’ “alba della scrittura”, che coincide con il momento
estatico dell’attesa, e più avanti la necessità della vigilanza e soprattutto
dell’autenticità: “Il lettore deve sentire che l’altro (l’Autore) investe ogni
cosa nel testo”. E giustamente la
polemica verso la vanità di certa scrittura
giovane, quando “si scrive per
gag, per trovate” e lo stile “è ruffiano / orale / molto svelto”. Da citare,
poi, l’appunto sulla sintassi della neve:
poche righe nelle quali mistero della natura e della scrittura s’incontrano
davanti agli occhi del poeta.
Degna
di nota anche la sezione dal titolo La
suggestione della cultura. Qui Fabbri presenta alcune annotazioni di lettura,
che colpiscono per certe intuizioni
originali enunciate senza enfasi, come piccole rivelazioni private offerte al
lettore, o confessioni dell’intelligenza
sussurrate nel respiro della pagina: ecco, tra gli altri, i pensieri sulla
reclusione emblematica vissuta da Anna Frank e dai membri dell’alloggio
segreto, l’accostamento tra Dostoevskij
e Kafka a proposito della ferocia dell’uomo e dell’idea di lager, le considerazioni sul silenzio in relazione ad una possibile
armonia.
Il
Novecento privato e collettivo (si veda il testo sulla strage di Bologna) vibra
in queste pagine in frammenti d’esistenza, senza clamore, colto da uno sguardo occulto – come recita il titolo
di una sezione del volume - , che è quello del tempo vissuto e nascosto, in bilico tra verità e domanda, a cui
risponde la scrittura poetica di Gianfranco Fabbri.
Mauro Germani