domenica 5 marzo 2017

Georg Trakl e la terra della sera


"Non ho altra scelta se non il dolore", scrisse Georg Trakl (1887-1914), nella cui opera è presente il segno lacerante della catastrofe epocale (la crisi  della vecchia Austria prossima allo sfacelo) e del proprio sradicamento, la consapevolezza di un mondo alla deriva e di una solitudine estrema, marchiata irrimediabilmente dall'infelicità e dalla colpa. E la parola poetica assume su di sé il negativo della perdita e della mancanza, il buio della sera ed il commiato del distacco, nella terra marginale di chi è sempre straniero, sempre errante e lentamente si allontana.
In Trakl - il più grande poeta di lingua tedesca del Novecento, come lo ha definito Claudio Magris - tutto questo avviene tra le ombre ed il baluginio dell'Abenland, ovvero la terra occidentale del tramonto, in cui regnano il lutto e la desolazione della rovina incessante. Tuttavia l'oscurità dominante sembra attendere un passo ulteriore dal viandante, un congedo ancor più definitivo: è il cammino del dipartito, di colui che - secondo Heidegger -  è alla ricerca di un luogo originario perduto, una terra in cui "abitare poeticamente".
Nella poesia di Trakl, però, non c'è un approdo definitivo, né una netta conversione del negativo in positivo, in quanto la meta attesa oltre la cosiddetta terra della sera non è mai raggiunta e tutto è frammentato e tende ad oscillare in una dimensione incerta, contraddistinta più che altro da momenti di dispersione e di privazione, che esprimono la nostalgia di un'unità perduta, di una totalità infranta. C'è dunque il segno inequivocabile della caduta, della lacerazione, dell'abbandono, la coscienza infelice di un'infanzia che tutto precede e fonda nel suo dissonante esserci, di un cammino tragico, di un peregrinare nell'ombra e nella solitudine, alla ricerca di ciò che è oltre la dissoluzione della parola e del mondo, al di là del frastuono del tempo, dell'insensatezza, dell'impossibilità di amare e di una vera comunicazione tra gli esseri umani. E in questo scenario cupo e dolente, il dramma di Trakl diviene - come ha scritto Roberto Carifi - "canto che dice la malattia dell'essere, che assume la sessualità come luogo simbolico e metaforico di una ferita insanabile, di un corpo appestato di malinconia".
Tutto è ferita e destino in Trakl, qualcosa di estremo e di lancinante ne segna la breve esistenza e l'opera poetica: il suo permanente dissidio interiore, l'esperienza fatale dell'infanzia (di cui sono espressione i fanciulli solitari dei suoi versi), il rapporto con la sorella Grete, la disperata solitudine, l'attrazione verso le prostitute più povere ed infelici, l'assuefazione alle droghe, lo scoppio della guerra e l'orrore della carneficina di Grodek, infine il manicomio. Se da un lato non si può non tener conto di tutto questo ed in particolare dell'amore incestuoso che il poeta ebbe per Grete e che segnò senza scampo l'esistenza di entrambi (lui morì per una dose eccessiva di cocaina nell'ospedale psichiatrico di Cracovia e lei si tolse la vita con un colpo di pistola tre anni dopo la morte del fratello), dall'altro la vicenda privata di questo "peccato di sangue" (Blutschuld) va oltre la dimensione privata e si trasfigura in un pensiero intorno all'essere e alla sua caducità, in cui la dolcezza dell'infanzia appare sovrastata dall'ombra della rovina e della colpa ed anche la parola sembra essere inferma, immersa in atmosfere di dissoluzione, all'interno di versi irrelati, frammenti di una scomparsa o forse di un nuovo indicibile linguaggio.
Mauro Germani

da Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei, La Vita Felice  2014