Luca Minola, Pressioni, LietoColle, 2017
Nella
poesia di Luca Minola si può cogliere una sorta di sospensione esistenziale che
è legata alla percezione del mondo e delle cose. Lo sguardo del poeta si posa
su un reale che appare nel proprio ordine, ma al tempo stesso trasfigurato da
una coscienza inquieta, stupita o smarrita a seconda delle circostanze. Il
campo visivo sembra oscillare continuamente tra apertura e chiusura, tra luce
ed ombra, tra messa a fuoco e dissolvenza.
L’esistente è l’occhio che guarda e la parola lo scruta nel suo divenire, lo
registra in un’attesa, come a voler penetrare il suo sfuggente mistero
(“L’attesa della casa. / Nessun varco, nessuna nebbia / se non il tuo seguire /
un armonioso e strisciato buio.”)
La
percezione della percezione, cioè la
consapevolezza dell’atto del percepire, è una costante di tutta la raccolta. I
versi di Luca Minola attestano con misura le pressioni sensibili che provengono da ciò che ci circonda. Ed in
questa dimensione l’io che osserva si ritrae, aspettando forse i segni o le occasioni (montaliane?) che rivelino il
proprio enigma esistenziale o lo integrino in un processo conoscitivo più ampio.
La sospensione esistenziale, cui si accennava all’inizio, risiede proprio in
questa tensione gnoseologica tra sguardo e parola, che cerca la luce (“una luce
vagante tra le cose”, afferma Maurizio Cucchi
nella prefazione), ma lambisce
inevitabilmente anche l’ombra ed il silenzio. Da questa soglia, in cui la
parola assorbe quel che può della realtà e dei suoi fantasmi, sembra nascere la
poesia di Minola, priva di enfasi, che tace o pronuncia appena la propria
domanda (“Qualcosa di identico è
accaduto / solo per la domanda e lo sguardo.”).
Leggendo
le poesie, il pensiero va a Merleau-Ponty e alle sue riflessioni, laddove
sostiene che il problema della percezione è quello stesso del rapporto tra la
coscienza e il mondo, ed il percepire non è mai un fatto isolato: “Sia il mondo
che la cosa sono perciò sempre aperti,
rinviano sempre al di là delle loro
manifestazioni determinate”. Ciò che Merleau-Ponty definisce ambiguità, pare ritrovarsi qui nell’incompletezza assunta come ricerca
d’essere e di significato, come rispecchiano i versi (“Rovistare è una paziente
rovina / parla il silenzio / la sua forma tradotta.”)
Questo
comporta in Minola un’attenzione maggiore al dettaglio, alla monade poetica, a scapito della
composizione strutturale dei testi. Le proposizioni poetiche risultano isolate,
sospese, come fermate dal poeta, che
non ha voluto (o potuto) osare di più. Ecco
allora che la tensione dell’attesa o
l’intensità del linguaggio in rapporto all’apertura della coscienza sul mondo –
con quanto di sconcertante o drammatico possono comportare - a volte vengono meno, si sfilacciano, si
perdono in spaesamenti che talvolta appaiono calcolati, di maniera ed
in sostanza troppo innocui per il
lettore. Per il futuro è auspicabile da parte del giovane Minola l’assunzione di un rischio maggiore, il che non significa un abbandono del controllo
stilistico e formale, ma la ricerca di una vibrazione più autentica ed accentuata
del verso, un tremore che consenta un
passaggio deciso dalla percezione
all’esistenza.
Mauro Germani