"A volte comprendo tutto quel che ha a che fare con l'esistenza, ma non sono mai riuscito a chiarirmi cosa significhi l'esistenza stessa. Nessun labirinto dei pensieri mi è sembrato inaccessibile in maniera assoluta, ma sono rimasto sempre perplesso e confuso dinanzi a questa evidenza incompresa e indimostrabile: io sono. La coniugazione di essere, del verbo più banale e più enigmatico, è un ardimento assurdo, un salto quotidiano e mortale della mente che, pensato in fondo, scervellerebbe anche lo spirito più equilibrato. Ci affatichiamo nelle faccende della vita solo dedicandoci anima e corpo ai suoi ondeggiamenti. Se partissimo dall'analisi d è, c'impantaneremmo per sempre sulla soglia del primo atto. Viviamo tutti nelle forme dell'esistenza, perché se ci fermassimo al suo fondamento, a quel che è, perderemmo l'equilibrio della mente e il coraggio di qualunque gesto; lo stupore minerebbe la nostra fiducia insensata nel futuro del tempo, diventando follia. Essere ci si impone come una necessità ultima, che ciononostante non realizziamo. Giacché non esiste alcuna ragione perché l'esistenza sia, nessun argomento per la sua 'esistenza' , nemmeno per la nostra. I motivi che invochiamo sono pretesti, un gioco poco onorevole dinanzi alla luce dello spirito. E questa luce viene sconvolta, smembrata non appena l'io ripete a sé stesso: io sono, io sono - come se l'inizio della coniugazione in generale, dell'accenno di vita, ci posizionasse d'un tratto, insieme agli elementi più semplici della conoscenza, nella nullità di quest'ultima e nella nullità in quanto tale."
Emil Cioran, Divagazioni, Lindau, 2016