Concetta D’Angeli, Tempo fermo, Pacini Editore, 2017
Con
questo suo romanzo d’esordio, vincitore nel 2016 del premio letterario
“Edizione straordinaria”, Concetta D’Angeli ci consegna un’opera che suscita
non poche riflessioni sul rapporto - quanto mai ambiguo, ma fondamentale - tra
arte e vita. Infatti, la vicenda della protagonista,
la cantante lirica Maddalena Canevari, che negli anni Venti, al culmine del
successo, decide improvvisamente di abbandonare le scene e di ritirarsi per il
resto dei suoi anni nell’isola di Ponza, pone al lettore - in modo non esplicito, ma attraverso una
narrazione assai efficace - una serie di interrogativi non trascurabili circa
le possibili relazioni tra il fenomeno artistico in genere e l’esistenza, tra
la creatività ed il nostro essere nel mondo.
Maddalena
interrompe bruscamente la sua carriera e sceglie la solitudine. Perché? Nel
romanzo non c’è giustamente una risposta precisa a questa domanda (che resta
viva nella mente del lettore per tutta la narrazione), ma si può affermare che
la scelta della protagonista è dettata da una delusione profonda circa la
capacità dell’arte di “salvare la vita”. Il disinganno per Maddalena è
traumatico: l’arte non è taumaturgica, non può sostituirsi alla vita né
guarirla, in quanto nessun miracolo può sconfiggere i drammi dell’esistenza. Sarà
l’amore sfortunato per Tommaso (che ha una concezione “cosmica” dell’arte e del
teatro, aldilà della separazione tra arte e vita) a segnarla profondamente e a far cadere ogni
illusione, come rivela la profonda amarezza delle sue parole: “L’arte non è che
la parodia della vita”. E poi: “A che serve l’arte? Per esibirsi? Per
divertirsi? A che serve se non sa sconfiggere la morte?”.
Domande
queste che possono sembrare ingenue, ma che in realtà sottendono una
problematica sempre attuale, soprattutto oggi, in cui domina una
cultura-spettacolo da esibizione, mercificata, narcisistica, che sembra proprio
sostituirsi a quanto di profondo o di innominabile c’è nell’esistenza, in una
sorta di incoscienza collettiva. Maddalena preferisce ritirarsi nella sua
villa. Anche questa può essere una fuga dalla vita, come un po’ lo era stata la
sua arte - e per di più comoda, grazie
alla ricchezza accumulata - ma fa pensare. Il personaggio di Maddalena incarna
le contraddizioni o le problematiche con cui spesso un artista deve fare i
conti, come il rapporto col proprio passato dedicato all’arte. Tra orgoglio e
scontrosità, tra reticenze e confessioni, Maddalena, ormai vecchia, accetta di
rivelarlo a Eugenio Dandoli, ricercatore presso la cattedra di Storia della
Musica all’università di Napoli, che – insoddisfatto della propria esistenza
- la intervista nel tentativo di
riscattare il proprio fallimento intellettuale.
Le
domande e le relative risposte costruiscono così un mosaico narrativo che
spazia dal presente al passato e viceversa e che costituisce la struttura
portante del romanzo. La scrittura di Concetta D’Angeli, molto curata e
plastica nel delineare i personaggi, rivela la propria duttilità stilistica nei
dialoghi (è stata insegnante di Letteratura e Drammaturgia teatrale
all’Università di Pisa), nei quali il lessico specifico di ognuno (si vedano,
ad esempio, le espressioni gergali toscane di Agatina e quelle napoletane di
Salvatore, il segretario e confidente di Maddalena) conferisce veridicità e
vivacità al racconto. Da aggiungere, poi, l’attenzione agli ambienti e ai
dettagli storici, nonché l’uso pertinente della terminologia relativa al mondo
della musica e del melodramma, che Concetta D’Angeli ha studiato con passione
per la costruzione della vicenda. Occorre poi dire che fa piacere constatare,
in questo romanzo, l’interesse per lo stile, per la ricerca di una propria autonomia
di scrittura e di espressività, cosa che purtroppo oggi manca in molte opere
narrative.
A
lettura ultimata, non si può non riflettere sui
personaggi principali.
A
ben vedere, essi sono tutti chiusi nella loro solitudine e nel loro mondo,
tutti in qualche modo delusi o sconfitti. Per ciascuno, il presente è senza
particolari aspettative, un tempo fermo, che però non è quello dell’arte,
piuttosto del ricordo, della malinconia o del silenzio. Maddalena ha scelto il
proprio ritiro dal mondo; Salvatore convive in solitudine con la propria
diversità, sembra vivere di riflesso, prendendosi cura di Maddalena e di
Leonora, la figlia cerebrolesa di quest’ultima; Eugenio comprende il suo
impossibile riscatto. C’è però il mistero di Leonora e del suo mondo
“incontaminato” e soprattutto del suo canto solitario, che improvvisamente si
rivela nelle ultime, bellissime pagine del libro, come un’arte che sembra
davvero pura e che nasce dalla profondità della vita, senza artifici, finzioni
o compromessi.
Mauro Germani